Era lui, Eros Canullo, il padre, il più anziano dei tre, a prendersi cura della moglie Angela Maria, non autosufficiente, e del figlio Alessandro, rimasto gravemente ferito e invalido in seguito a un incidente stradale.
Era lui che, a 80 anni, a Macerata, provvedeva a fare la spesa, cucinare, tenere pulita la casa, chiamare il medico. Su di lui gravava tutto il peso di quella famiglia non più in grado di badare a se stessa.
Lui era il forte. La quercia alla quale si aggrappavano le viti non in grado di sostenersi. Per quanto tempo ancora avrebbero potuto andare avanti? Eros non era più giovane. E un giorno è crollato. Era l’estate dell’anno scorso. Morto per cause naturali ha detto l’autospsia. Non ha potuto ricevere aiuto, nessuno ha potuto chiamare il medico.
Per Angela Maria e Alessandro sono state ore terribili. Interminabili. Hanno atteso che, chissà, forse, qualcuno sarebbe venuto a bussare a quella porta. Chissà, qualcuno si sarebbe accorto che in quella casa qualcosa di grave era successo. Non accadde.
E, lentamente, anche loro, sono scivolati nel buco nero della morte. La porta ancora chiusa. Fino al sei settembre. Nessuno ha sentito, nessuno ha intuito, a nessuno è venuto in mente di allertare le forze dell’ordine. Fino a quando i tre cadaveri furono ritrovati.
Si pensò a una fuga di gas. Un incidente domestico. C’era da augurarselo, sarebbe stato il meno peggio. Tutti e tre morti contemporaneamente. Invece no. Se il padre è morto per cause naturali, non così è stato per i suoi cari.
Loro, purtroppo, sono morti di fame e di sete. Una agonia lenta e straziante. Senza ricevere un minimo di conforto, un pizzico di aiuto, un’ultima carezza. Com’è possibile morire così nella nostra bella Italia che ancora conserva i valori di amicizia, solidarietà, parentele, buon vicinato? Com’ è possibile che tragedie di questo tipo avvengono senza che i servizi sociali si allarmino per una famiglia con due genitori anziani e malati e un figlio gravemente disabile?
L’atroce guerra che si sta combattendo in Ucraina ci mette in crisi; avvertiamo infatti i nostri limiti, non sappiamo che cosa fare e in che modo poter influire in questo conflitto assurdo e micidiale. I cristiani accolgono l’invito del Papa e pregano perché si ponga fine a tanto stupido scempio di vite umane. Altro non sanno fare. Altro non sono in grado di fare.
Tutti, però, ovunque siamo, possiamo osare di più per mitigare la sofferenza e i disagi dei fratelli e delle sorelle nel bisogno. Tutti possiamo aguzzare lo sguardo, chiedere, interessarci delle condizioni dei nostri vicini, dei nostri parenti, amici, conoscenti, vecchi colleghi di lavoro. Senza essere invadenti, tutti possiamo offrire a chi è nel bisogno la nostra disponibilità, il nostro aiuto.
Senza essere eroi, senza essere santi, senza chiedere a noi stessi più di quanto possiamo dare, senza togliere alle nostre famiglie troppo tempo, tutti possiamo fare un passo in più per andare incontro all’altro.
Lo so, sovente, le persone sole, anziane, malate non sono di facile carattere. Lo so, dopo anni di delusioni e di sofferenza, tanta gente è portata a chiudere i ponti col mondo esterno. È vero. Non tutti reagiscono agli sgambetti della vita allo stesso modo, c’è chi si addolcisce, chi, al contrario, s’ incattivice, chi tira i remi in barca e si lascia andare.
Loro, i vecchi, gli ammalati, i provati dalla vita ne hanno il diritto. Su di noi, invece, incombe la responsabilità di avere tanta pazienza, tanta comprensione, tanta attenzione. A noi compete il dovere di tenere d’occhio – magari senza farcene accorgere – la porta di casa dei nostri anziani vicini per captare eventuali segnali di allarme. Nessun dito puntato su nessuno, nessuna croce gettata sulle spalle di nessuno. Questa triste tragedia però ci chiama in causa tutti.