Gentile direttore,
le scrivo a proposito della ancora recente sentenza con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha stabilito che è giusto che una donna possa accogliere nel proprio utero un embrione precedentemente fecondato, nonostante sia ormai separata dal coniuge con il quale aveva ottenuto tale fecondazione. La professoressa Morresi, alla quale lei ha affidato l’editoriale sul tema e della quale anch’io ho sempre apprezzato la competenza scientifica e la ricchezza morale, ha sottolineato la legittimità di tale decisione, in buona sostanza – se interpreto correttamente il suo pensiero – alla luce del diritto all’esistenza di una vita già presente, ma ancora priva della possibilità di potersi sviluppare. Ebbene, non le nascondo molte perplessità, perché se condivido certamente il diritto all’esistenza di un essere umano che ha atteso non so quanto tempo l’occasione per presentarsi alla vita, non sono affatto sicuro che questa decisione sia stata presa per il bene dell’interessato. Non possiamo leggere dentro i cuori e non possiamo sapere se la decisone della madre, opposta a quella del padre, sia un’apertura alla vita nascente o un atto di autonomia in opposizione. Restano a mio avviso molti dubbi che le presento. Grazie.
Giuseppe Pisano
Forse è vero, gentile amico, che nessuno, qui e ora, può essere certo di 'leggere' per davvero il cuore delle donne e degli uomini, ma tutti possono leggere almeno le regole poste a presidio dalla Legge 40 di una pratica complessa e delicatissima come la procreazione medicalmente assistita. E queste regole prevedono un diritto di 'ripensamento' dei genitori solo fino a quando il concepimento in vitro non è avvenuto. Dopo quel momento, maternità e paternità sono 'in atto' per quanto possano venire 'sospese' o, più propriamente, 'congelate' a causa del mancato impianto nell’utero della madre della creatura o delle creature frutto del concepimento. Come Assuntina Morresi e come i miei bravi colleghi che si occupano di questa materia, cerco sempre di scrivere con delicatezza e precisione di simili 'avventure', piene di calda umanità e di fredda tecnica, che ci portano ai confini estremi della nostra natura e della cultura che continuiamo a costruire. E so anche che le norme non bastano, che la vita è molto di più delle regole che immaginiamo e che ci diamo. Dunque, tutti i dubbi sono comprensibili e persino accettabili tranne uno: un figlio, sia pure appena 'cominciato', è un figlio, e mai una cosa da pretendere o usare o scartare. E nessuno mai dovrebbe essere padrone della vita di un altro, a maggior ragione della vita di un figlio.