Giuseppina Vinci, Lentini (Sr)
I periodi di crisi strutturale sono sempre caratterizzati negli umori della massa da sentimenti di pessimismo, di insicurezza, di delusione, di sfiducia nella politica se non, addirittura, da veri e propri rigurgiti di antipolitica che s’accompagnano a un certo clima di egoismo sociale, di incrinamento del patto fra cittadino e Stato in nome dell’interesse particolare. I caratteri di tale scenario su cui abbiamo già avuto modo d’intrattenerci in queste pagine, sollecitati dai fatti di cronaca e da tanti preoccupati messaggi di lettori sono tutti chiaramente leggibili nel presente. Tuttavia, cara signora Vinci, mi pare che lei generalizzi un po’, stigmatizzando – in un’unica fascina – fenomeni sì contemporanei, ma diversi fra loro, con derivazioni e incidenze differenti: il terrorismo mondiale, la speculazione finanziaria, la globalizzazione produttiva, la violazione della privacy, l’idolatrìa del «dio denaro». Mi sembra, in sostanza, che il suo sia un anatema vago e ingeneroso. Vede, signora, è importante distinguere i problemi e non subire anche noi il gioco perverso della post-modernità, che è intrinsecamente relativista, mette cioè sullo stesso piano indifferenziato problemi e situazioni diverse. Distinguere invece è condizione per ben giudicare e ben agire. Certamente i fattori elencati contribuiscono compresenti e collimanti a ingenerare timore, paura, disimpegno. Ma non bisogna dimenticare che la globalizzazione economica (dei mercati e delle manifatture) delle barriere le ha abbattute, anche se poi ne ha fatte nascere altre. Ma pensiamo all’aggancio alla locomotiva mondiale di India e Cina. Ciò che dobbiamo «condannare» non è perciò il modello, il meccanismo della modernità, bensì le sue storture, le sue patologie derivate dalla mancanza di etica, dall’avidità, dalla speculazione fine a sé stessa e fuori controllo. Oggi ci è richiesto un grande sforzo di ridisegno culturale, un riassetto della nostra scala valori e degli stili di vita. Mai, come in questo tempo cruciale, il pensiero della Chiesa ci richiama alla necessità di metterci personalmente in gioco per il bene comune. Nella prolusione pronunciata l’altro giorno dal cardinale Angelo Bagnasco, al Consiglio Permanente della Cei, si legge: «... Da più parti, in questi giorni, s’è detto che la crisi potrebbe diventare un’opportunità. Non vi è dubbio che, per certi versi, senza la crisi probabilmente non si sarebbe trovata la forza ad esempio per riconoscere che non si può vivere sopra le righe e bisogna fare un passo indietro, per quanto arduo, ricuperando la capacità e il gusto del risparmio, della misura, del non spreco, dei consumi sostenibili... Anche in questo senso la crisi può disvelare le sue virtualità educative: sia nei riguardi delle persone già adulte, che però devono saper modificare il proprio modo di pensare e i propri comportamenti, sia verso i più giovani, ai quali apparirà più chiaro che non basta aver di mira l’acquisizione di abilità tecniche: occorre educare le emozioni, impegnarsi sulle virtù personali e sociali, dar valore "anche" all’anima».
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: