Caro direttore,
tra i buchi neri, le vicende oscurate e dimenticate, tanto dalla politica quanto dalla stampa , c’è quella di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita romano, conosciuto per aver rifondato nel deserto di Damasco, in Siria, agli inizi degli anni Ottanta una tradizione eremitica cenobitica e del quale dai primi giorni di agosto non si hanno più notizie certe. Si presume che sia stato rapito nella zona siriana di Raqqa da estremisti islamici legati ad al-Qaeda. E la notizia della sua uccisione, diffusa a metà di quello stesso mese da un sito arabo, non ha avuto mai conferma. Ricordiamo che il gesuita, da sempre impegnato a promuovere il dialogo tra cristiani e musulmani, venne espulso nel 2011 dalla Siria dal governo di Bashar al-Assad subito dopo l’uscita di un suo testo che proponeva una soluzione pacifica alle sommosse popolari in corso nel Paese. Padre Dall’Oglio in seguito era rientrato in Siria, ma evidentemente il suo impegno per la pace e una giusta «convivenza nella diversità» ha continuato a essere una spina nel fianco tanto per i fratelli musulmani che per il regime baathista. La Farnesina non ha dato mai una conferma della morte del religioso, né ha fornito in questi mesi informazioni dettagliate sul rapimento, certo è che del caso di padre Paolo sarebbe onesto, civile, umano se la stampa e la politica italiane (ri)accendesse i riflettori. Parlatene di più.
Mimmo Mastrangelo
Sono allergico al silenzio imposto, al silenzio "non scelto" e non vissuto in libertà e per libertà spirituale e umana. Ma so che non tutti i silenzi sono uguali. So quanto sia terribile e ingiustificabile la vasta distrazione sulla guerra civile di Siria, alimentate entrambe – guerra e distrazione – dai calcoli cinici e sbagliati dei potenti locali tanto quanto delle potenze (e delle reti terroristiche) straniere interessate e coinvolte. Ma soprattutto so che certe tristi vicende e certe acuminate speranze non evolvono e non si risolvono secondo umanità e giustizia se non ci riesce di evitare le parole inutili, avventurose e persino dannose. A volte, l’ho imparato presto, le cronache scritte a casaccio rischiano di produrne in serie di parole così pericolose... Non sto polemizzando con te, caro Mimmo, sia chiaro. Perché comprendo totalmente – e, a mio modo, vivo – l’ansia di una parola liberatrice per padre Paolo Dall’Oglio. Ed è la stessa ansia che ci anima ogni volta che ci ritroviamo a misurarci con la ferocia di un sequestro (o di una inspiegabile sparizione) di persona. La sorte dell’inquieto e indomito «monaco gesuita» – come già quella del collega giornalista della "Stampa" Domenico Quirico, infine felicemente restituito alla sua famiglia e al suo lavoro – è un chiodo fisso nella mente di tanti. Per chi crede è anche un impegno di preghiera. Per quelli che fanno il tuo e mio mestiere è un dovere in più nel "fare cronaca". Da mesi, infatti, in redazione (e non siamo certo gli unici) viviamo un costante dovere di responsabilità verso il nascosto e faticoso lavorìo per restituirci padre Dall’Oglio. Già, un dovere di responsabilità – e sempre più a fatica – di discrezione e di riservatezza. Ma a che cosa varrebbe parlare invano? A che cosa inveire e accusare? In questa storia ci sono tanti nemici della pace e della «convivenza nella diversità», cioè in quel rispetto delle minoranze che nasce dalla consapevolezza che tutti sulla faccia della terra siamo, comunque, minoranza e che nessuna minoranza è di troppo, perché solo assieme possiamo costruire la sterminata maggioranza di gente di «buona fede» e di «buona volontà» che è il popolo della pace possibile e necessaria.
Sì, caro Mimmo, in questa storia ci sono tanti nemici del bene, ma c’è soprattutto un amico: padre Paolo. Vogliamo vederlo tornare alla libertà e alla luce abbacinante di Mar Musa. E contiamo ancora su quelli che lavorano lontano dai riflettori, ci contiamo con impaziente tenacia, fino all’ultima stilla di fiducia.