La scena centrale de “L’attimo fuggente”, il film del 1989 con Robin Williams - .
L’attimo fuggente, film uscito nel 1989 con la regia di Peter Weir e protagonista Robin Williams, è un film che fa sempre discutere gli insegnanti, e non solo. L’atteggiamento di John Keating, vulcanico docente di letteratura, che invita a strappare le pagine di critica del manuale per riscoprire la potenza originaria e senza filtri della parola poetica, salendo in piedi sul proprio banco per cambiare prospettiva, è da alcuni prof criticato come l’insegnante incapace di dare regole, restio a riconoscere il valore dell’approfondimento critico. Keating viene accusato di far leva sull’emotività pura degli adolescenti, cosa molto pericolosa: lo studio è anche impegno, fatica. Si cresce anche così. Chi invece difende il professor Keating lo fa in nome di una scuola che deve toccare la vita, accendere l’interesse, risvegliare la passione. Una scuola piena di colori, che sappia entusiasmare, diffondendo una cultura affascinante e capace di spingere alla conoscenza di sé.
È evidente che sia i detrattori che i sostenitori di Keating abbiano delle valide ragioni. Ciò su cui però mi vorrei soffermare è la scena centrale del film, da cui ha preso spunto il titolo italiano, diverso da quello inglese. Il professor Keating porta i suoi studenti a vedere le fotografie dei loro predecessori nella scuola, per far capire come il tempo vola: la vita è adesso, nel presente, va afferrata subito e tenuta stretta, prima che sia troppo tardi. Queste affermazioni affascinano: dobbiamo vivere la nostra esistenza in pienezza, da protagonisti, senza rimandare nulla. C’è però dietro una visione dell’uomo e del tempo assai interessante, che spesso ricorre nella storia. L’uomo è una creatura fragile, precaria, in bilico tra passato e futuro. Il tempo scorre troppo rapido, il domani è carico di incertezze: su di esso non si può fare affidamento. I progetti a lungo termine sono destinati a svanire: più che affannarsi di ciò che sarà, è bene godere del presente, prima che si dilegui.
È esattamente quanto afferma il poeta latino Orazio, vissuto nel I secolo a.C.. In uno dei suoi componimenti più famosi, il carme I 11, Orazio afferma proprio ciò che il professor Keating riprenderà con i suoi studenti. Il poeta si rivolge a Leuconoe (forse una donna da lui amata, forse il simbolo di ogni giovane che deve apprendere i segreti della vita) e la invita a non pensare al futuro, a non chiedersi quanto tempo durerà la vita, a non consultare gli oroscopi. Meglio occuparsi del qui e ora, scrive Orazio, vivere nel presente, che è affascinante e carico di vita: è inverno, il mar Tirreno è in tempesta, ma noi possiamo stare al caldo, godere del vino e della buona compagnia. Dunque, Leuconoe, non credere nel domani. Carpe diem: vivi in pienezza questo giorno. Anzi, cogli l’attimo, proprio questo: afferralo nel suo spazio effimero, non te lo lasciare sfuggire.
L’invito a vivere in pienezza il presente è certamente educativo: troppo spesso la nostra esistenza è un susseguirsi di impegni tra i quali corriamo, con la testa sempre al prossimo appuntamento da depennare dall’agenda. Gesù stesso richiama all’importanza del presente: «Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,34). Queste parole non sono però un semplice invito a godere del presente, rimuovendo il futuro dal proprio orizzonte, ma a credere nella Provvidenza, che è l’amore di Dio che ci raggiunge nel concreto e che accompagna la nostra vita. Molto diverso è affermare che l’uomo è in balia della precarietà e che quindi il futuro non offre alcuna garanzia dal credere che l’uomo viva abbracciato da un Amore più grande che mai lo abbandona.
Il primo modo di vedere porta a succhiare la vita fino al midollo, senza fare troppi progetti: è il cosiddetto “presentismo”, nel quale molti adolescenti (e adulti) cadono, poiché il futuro li spaventa e in esso non vedono che pericoli. Credere invece nella Provvidenza porta a vivere intensamente il presente, ringraziando per averlo ricevuto in dono, e a confidare nel futuro, pur sapendo che esso non è completamente nelle nostre mani. La logica è opposta: non si tratta di catturare l’attimo e possederlo finché si può, dimenticando le incertezze della vita, ma di riceverlo da una benevolenza infinita, fiduciosi che, qualsiasi cosa accadrà, non saremo perduti. Da insegnante ho più volte toccato con mano la potenza della Provvidenza. Mi è capitato spesso di incontrare ex allievi che all’epoca degli studi avevano molte difficoltà e che nella vita poi hanno fatto percorsi incredibili, soddisfacenti per sé stessi e straordinariamente utili agli altri.
Penso a Silvano, sempre svogliato in classe, nonostante la sua vivace intelligenza. Silvano, lo specialista del 5,75 di media alla fine del quadrimestre: calcolava il suo impegno col bilancino (e con una straordinaria efficacia) per arrivare alla magica soglia che, a suo avviso, gli avrebbe garantito di evitare l’insufficienza in pagella. Discutevamo di un argomento caldo: non si esponeva. Leggevamo poesie stupende: non reagiva; non capivo se gli piacessero o meno. Per uno come me, che in classe ama discutere anche animatamente, preferendo la polemica a un anestetizzato silenzio, era una croce.
Poi, in quarta superiore, cambiò tutto. Silvano ebbe una clamorosa delusione amorosa: una persona a cui voleva molto bene lo tradì e lo ferì profondamente. Non si presentò a scuola per alcuni giorni. Quando tornò aveva un’aria cupa e mi chiese di parlare. Lo ascoltai a lungo: quella delusione lo aveva portato a uscire con gli amici e a bere per dimenticare. E poi a bere ancora e ancora. Cogli l’attimo, dimentica il domani.
Il problema è che, se dimentichi troppo il domani, corri il rischio di non tenere conto delle conseguenze di ciò che fai: Silvano era finito in ospedale. Si era svegliato con a fianco i suoi genitori disperati e ne era rimasto molto scosso.
Ma la Provvidenza, incredibilmente, aveva trovato anche in quel momento di buio la sua strada: Silvano mi disse che essere andato a sbattere gli aveva dato una consapevolezza nuova: voleva prendere in mano il timone della sua vita, progettare il suo futuro. Perché vivere il presente progettando il futuro, senza la pretesa di controllare tutto, è l’atteggiamento vincente. Perché la libertà non è fare tutto subito quel che ci pare, ma scegliere quale direzione prendere; cercare una meta, sfidare un orizzonte.
Io e Silvano iniziammo un confronto serrato. Gli chiesi cosa lo appassionasse davvero, cosa lo facesse sentire sé stesso al cento per cento. Silvano era uno sportivo: mi parlò del suo sport e del fatto che faceva anche l’allenatore. Ecco: allenare era la cosa che più lo esaltava. Stare con bambini e ragazzi più piccoli, spronarli, incoraggiarli, accompagnarli a migliorarsi: in tutto ciò intuiva un senso profondo, una luce potente.
Sono passati molti anni, molti tirocini, molti esami accademici. Ho incontrato Silvano per caso, qualche tempo fa: è diventato un felice insegnante, che allena i suoi studenti alla vita. Parla di loro, di ciò che fanno in classe, della didattica e degli incontri tra i banchi di scuola con gli occhi che brillano. Occhi di chi ha preso il meglio del carpe diem: occhi di chi sa vivere appieno il presente scrutando il futuro. Il suo e quello delle donne e degli uomini di domani che gli sono affidati. La storia di Silvano non è certo l’unica. Qualche tempo fa una biblioteca della mia zona ha organizzato la presentazione di un mio libro. Mentre mi incamminavo, quella sera, ero un po’ timoroso: le presentazioni di libri sono sempre un terno al lotto. Ho aperto la porta trattenendo il respiro. La sala era piena di gente. E c’erano loro: tanti miei ex allievi.
Mi sono salite le lacrime agli occhi. Li ho ricordati pieni di paure e di voglia di futuro il primo giorno si scuola delle superiori, tanti anni fa. Ho ripensato alla loro fragilità e alla loro energia. Ora erano di nuovo lì per me, con me. La psicologa, il medico, l’avvocato, la biologa. Li ho abbracciati forte, a uno a uno, e ciascuno di quegli abbracci era esattamente il mio carpe diem, il posto preciso in cui dovevo stare in quell’esatto momento, la pienezza di vita che per alcuni interminabili secondi assorbe il passato e il futuro e ne schiude il segreto. Contemplare ciò che erano diventati mi ha riempito di gratitudine e mi ha ricordato che cogliere l’attimo è fondamentale, ma lo è anche attendere con fiducia il futuro, perché la vita ha i suoi tempi di maturazione, e noi docenti, madri, padri, educatori abbiamo il compito di confidare nel tempo che serve a ciascuno per diventare sempre più pienamente se stesso.