Signor direttore,
ho letto con interesse l’articolo della sua collega Lucia Capuzzi di sabato scorso 21 marzo, dal titolo: «I militari per strada: il vero rischio è che poi ci restino». Sinceramente sono un po’ perplesso. Risulta alla sua giornalista che in Italia ci sia una tradizione autoritaria o golpista da parte dei militari? Risulta che questo Paese, dove da sempre regna l’anarchia, anarchia orchestrata e voluta da comunisti e clericali per ragioni storiche opposte ma unite nel danneggiare lo Stato italiano, qualcuno si sia mai sognato di limitare la libertà, chiamiamola così visto che io continuo a preferire il termine anarchia, di qualcuno? Siamo al paradosso. In una situazione grave e tragica come questa le uniche organizzazioni capaci di operare sono quelle animate da uno spirito che va oltre lo stipendio, tra le quali metto sicuramente anche le Forze Armate. Che questa vulgata cattocomunista possa essere accettata in tempi tranquilli, per quieto vivere, potrebbe anche starci ma ora, in questo momento, assolutamente no. Non si preoccupi “Avvenire”. Finirà questa emergenza e i militari ritorneranno tranquilli nelle loro caserme. Al contrario, continuando con queste uscite, che non sono poi nemmeno in linea con il sentire della stragrande maggioranza degli italiani, c’è il rischio che siano proprio gli italiani a chiedere ai militari di non rientrare.
Giordano Ciccarelli
Gentile signor Ciccarelli, il direttore mi invita a risponderle e io la ringrazio per la lettera e per l’interesse dedicato al mio articolo che propone una riflessione sulla democrazia in tempi di emergenza, come quelli attuali. Non si riferisce, nello specifico, alla democrazia italiana, bensì a sistemi, più o meno dichiaratamente autoritari, che stanno approfittando del virus per comprimere le libertà individuali con finalità di ben altro segno rispetto alla tutela della salute pubblica. Agli esempi da me citati – Iran,Filippine e Bolivia,che proprio ieri hanno sospeso sine die le presidenziali previste per il 3 maggio – si potrebbero aggiungere le denunce, riportate dal collega Nello Scavo su Avvenire.it, di abusi in Cina, nel campo profughi di Dadaab in Kenya, negli insediamenti dei Rohingya tra Myanmar e Bangladesh. Per questa ragione, appena qualche giorno fa, il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha chiesto ai governi internazionali che le misure emergenziali siano «proporzionate ». In Paesi con una solida tradizione democratica, tra i quali fino a prova contraria rientra appunto il nostro, ovviamente gli anticorpi sociali e politici dovrebbero essere in grado di minimizzare l’impatto e l’istéresi delle restrizioni imposte per cause di forza maggiore. Tale forza maggiore è, però, dovuta a un’emergenza sanitaria – grave, è bene ribadirlo – non a una “guerra”, come una certa narrativa “complottista” vorrebbe farci credere. La questione evidentemente non è linguistica: la paura, come il passato più o meno recente dimostra, è una potente arma politica, dagli effetti imprevedibili. La retorica militaristica, nella sua ricerca ossessiva di un “nemico”, non è affatto utile rispetto alla tragedia attuale. Perché il responsabile è un virus. E il virus non si sconfigge con le armi, ma con la coesione sociale. Promuovendo comportamenti di responsabilità e cura verso le categorie più fragili nei confronti dell’epidemia.Anziani e malati, in primo luogo. Ma anche con l’attenzione ai cosiddetti “danni collaterali” del Covid-19: quanti hanno perso o perderanno il lavoro a causa della pandemia. A queste categorie va mostrata una solidarietà concreta.Che ora significa stare a casa.Domani vorrà dire adottare provvedimenti in loro sostegno.
Lucia Capuzzi
Aggiungo appena poche righe alla bella risposta della collega Lucia Capuzzi. Prendere lucciole per lanterne è sempre possibile, ma devo ammettere, signor Ciccarelli, di aver trovato lunare il tentativo di trasformare un’analisi di taglio internazionale profonda e documentata (e pubblicata nella pagina di primo piano 'Coronavirus: il mondo') nel pretesto per una polemica pseudo-italiana, funzionale a un velato auspicio di sollevamenti anti-democratici... Vorrei non dubitare della sua buona fede, signor Ciccarelli, ma faccio fatica soprattutto per la voluttà con cui lei usa l’aggettivo “cattocomunista” e la veemenza con cui si scaglia contro la Chiesa. Mi dispiace per lei. E le ricordo che rispettare le Forze armate della nostra democratica Repubblica significa prima di tutto non usarle a sproposito, anche solo a parole.