venerdì 4 ottobre 2024
Il premier che annuncia di voler esprimere al nunzio la protesta ufficiale per quel che il Papa ha detto sull’aborto mostra l’idea che la Chiesa possa essere zittita quando dà voce pubblica al Vangelo
Il Papa con Filippo del Belgio

Il Papa con Filippo del Belgio - Fotogramma

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L’incomprensione della parola del Papa durante e dopo il suo breve viaggio in Lussemburgo e Belgio appare persino eclatante se si pensa alla sintonia profonda che invece Francesco ha suscitato dall’altro capo del mondo, tra Indonesia e Singapore, Paesi visitati solo qualche settimana prima e che si riconoscono in tradizioni culturali e identità religiose profondamente diverse rispetto a quelle che plasmano l’Europa.

La lode che Francesco ha rivolto alla testimonianza di Baldovino, sovrano belga amato per la sua integrità e coerenza, gli ha fruttato addirittura lo sdegno del primo ministro di Bruxelles Alexander De Croo che ha annunciato l’intenzione di convocare il nunzio in Belgio per dirgli con un «messaggio chiaro» che «ciò che è successo è inaccettabile». Il Papa ha osato indicare l’esempio di un re che antepose la coscienza a ogni altro potere scegliendo di cedere lo scettro – fosse pure per poche ore: ma lo fece davvero – piuttosto che lasciare che a far entrare in vigore la legalizzazione dell’aborto fosse la sua firma. Sarà pur vero che il liberale De Croo, sconfitto alle recenti politiche, è dimissionario e che il suo annuncio potrebbe essere stato reso a uso dei media, cercando di recuperare quell’approvazione che lo ha allontanato dal potere (una coazione, stavolta, e non una scelta...). Resta che l’ha veramente detto, spingendosi oltre il limite del rispetto istituzionale che sarebbe comunque il minimo esigibile nelle relazioni tra Stato e Chiesa. Un’uscita sgarbata e infelice, singolarmente muscolare, che suona ancor più stonata se si pensa che intende sanzionare parole di accorata ammirazione pronunciate dal Papa come omaggio non rituale a uno dei simboli del Paese.

L’aria che tira in Belgio (e non solo: si pensi ai toni belligeranti riservati da mesi in Italia ai volontari per l’accoglienza della vita nascente) era già chiara quando, con il Papa ancora a Bruxelles, l’Università Cattolica di Lovanio aveva preso le distanze dalle sue riflessioni sulla specificità femminile, come imbarazzata dalla parola evangelicamente chiara di Pietro. Tutto lascia traccia, nulla va considerato come un semplice episodio: e qui si coglie ancora l’eco dell’irruzione dei gendarmi 14 anni fa nell’Arcivescovado di Bruxelles dov’era in corso una riunione della Conferenza episcopale, 9 ore di sequestro dei vescovi a caccia di prove sugli abusi, con tanto di tombe di cardinali scoperchiate nella cripta della cattedrale. Quando si diceva che andando in Belgio il Papa avrebbe affrontato il centro della scristianizzazione europea era a un simile contesto estremo che si pensava. Ed è questa realtà di cesura immemore delle radici cristiane che stiamo sperimentando. Con tutte le sue incredibili manifestazioni pubbliche.

La convocazione di un ambasciatore per esternargli una protesta formale la si riserva in diplomazia ad atti ostili, provocazioni aggressive, atteggiamenti e scelte che contrastano con la propria mentalità. Ed è questo il punto. Ribadendo il giudizio etico della Chiesa sull’aborto, con la franchezza in difesa della vita che usa quando parla anche di poveri e migranti, il Papa di certo ormai scandalizza ma non fa altro che esprimere liberamente un pensiero che può non essere condiviso eppure resta il riferimento per tutta la Chiesa, segno di unità, voce pubblica di una comunità credente che si riconosce in un’autorità differente dai poteri del mondo. Dentro ciò che la Chiesa dice in forza di questo suo nutrirsi del Vangelo e del suo sguardo sulla persona, originale in ogni tempo, c’è una libertà che nessun potere può pretendere di ridurre alle sue ragioni, nessuna cultura deve credere assoggettabile alle proprie logiche, e che di certo non si può sperare di zittire, meno che mai con parole e gesti intimidatori.

La Chiesa, il Papa, i credenti restano liberi, della libertà dei figli di Dio che ha un’origine ben diversa da quella assicurata da una legge o dal consenso dell’opinione pubblica, vero, presunto, o solo cercato. Essere in disaccordo, anche radicale, con ciò che essa dice grazie a questa inattaccabile libertà è ovviamente del tutto legittimo. Chiamarla a rapporto per dirle in faccia che non può farlo è tutt’altra cosa, e va a ledere la stessa natura democratica delle società europee, fondata su quella visione della persona che proprio il cristianesimo ha piantato nel cuore della civiltà continentale.

Definire «criminali» e «omicide» leggi che mettono in discussione la vita umana fino a consentire di sopprimerla può essere soggetto a discussioni e dibattiti – e lo è, eccome –, ma la stessa libertà di scelta che si dice di voler difendere dovrebbe impedire di mettere a tacere chi la pensa diversamente: tanto più se è la Chiesa, che quella libertà ha scolpito nei suoi inconfondibili tratti umani dentro la coscienza europea. Non è nemmeno immaginabile una società o un Paese dove la Chiesa per non vedersi richiamata all’ordine dal governo di turno deve allinearsi silente a mentalità, leggi e provvedimenti che non riconoscono l’infinita dignità di ogni vita umana, sia essa ancora avviata alla nascita oppure alla deriva dentro un barcone stipato di migranti, sfruttata nei campi o reclusa in luoghi disumani di detenzione.

È a nome di tutti loro che il Papa leva la sua libera voce. Lo fa anche per restituire sia evidenza a una realtà che spesso manipoliamo per rendercela accettabile sia, a noi credenti troppo spesso àfoni, la voce che a volte sembra spegnercisi in gola.

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