La contesa sul finanziamento delle opere per il completamento del muro al confine con il Messico sta provocando negli Stati Uniti un conflitto politico di inedita gravità, con diplomatici ed esponenti del Parlamento costretti a rinunciare a viaggi di Stato per mancanza di fondi. Come spesso avviene quando è in questione l’immigrazione, la dimensione simbolica, ideologica e persino emotiva della controversia prende il sopravvento sul contenuto effettivo della materia da regolare.
Qualche dato può servire a inquadrare il problema. Un recentissimo rapporto dell’autorevole Center For Migration Studies di New York spiega che negli Stati Uniti (come d’altronde avviene nell’Unione Europea), nel 2016-2017 la maggior parte dei nuovi immigrati irregolari è rappresentata da persone entrate legalmente e rimaste dopo la scadenza del loro permesso, per esempio turistico: esattamente il 62%, contro un 38% che ha attraversato il confine illegalmente. In altri termini: il muro non fermerà il grosso degli ingressi degli immigrati non autorizzati. Servirebbero altre misure, che però colpirebbero settori economici importanti, come appunto il turismo.
Il rapporto conferma inoltre che dal 2010 l’immigrazione irregolare negli Usa è in calo, pur sfiorando attualmente la ragguardevole cifra di 10,7 milioni di persone. In particolare, i messicani senza documenti sono sensibilmente diminuiti, di ben 400mila unità nel 2017, e per la prima volta costituiscono meno della metà della popolazione irregolare. La conclusione di Donald Kerwin, direttore esecutivo del Cms, è netta: «Non solo il muro è costoso, ma non serve a raggiungere lo scopo per cui è stato pensato». Vanno aggiunti alcuni altri dati.
La Guardia di frontiera degli Stati Uniti impiega circa 20mila effettivi, e forma il corpo armato più numeroso del Paese dopo l’Esercito. Il confine con il Messico è il più militarizzato al mondo tra due Paesi in pace fra loro, e un terzo del muro (650 miglia) è già stato costruito in passato. Non è neppure scontato che i 5,7 miliardi di dollari richiesti da Trump siano sufficienti per completarlo.
Anche negli Stati Uniti alla fine le opere pubbliche costano più di quanto inizialmente previsto, e girano stime molto più onerose. Gli investimenti per il controllo fisico della frontiera sono cresciuti di parecchie volte, impegnando un ingente quantità di risorse sottratte ad altri impieghi, ma il principale risultato che hanno raggiunto è stato quello di dirottare gli ingressi verso altri canali e altre provenienze. L’enfasi sul muro non si spiega quindi con ragioni tecniche, come se il confine fosse un colabrodo e se una più rigida sorveglianza bastasse a sconfiggere l’immigrazione irregolare.
Le invettive lanciate da Trump contro le carovane di migranti dall’America centrale forse aiutano a comprendere la visione del mondo che emerge dietro la proposta del muro: il presidente statunitense parla di orde di criminali, di fiumi di droga, di minacce terroristiche, persino di malattie in arrivo. Sta dipingendo qualche centinaio di campesinos e altri poveri, inclusi vecchi, donne e bambini, come una minaccia mortale per la sicurezza del suo Paese. Il muro al confine, come vari altri costruiti nel mondo in questi anni, riveste dunque funzioni molto simili a quelle di 2.000 anni fa, del Vallo di Adriano o della Muraglia cinese: intende separare con nettezza i civilizzati dai barbari, i cittadini dagli alieni, la società ordinata dal caos esterno.
Persone in cerca di asilo e aspiranti lavoratori diventano simboli di minacce esiziali, al pari delle orde armate di secoli addietro. Come se l’insicurezza seminata da una certa globalizzazione non fosse già ben insediata all’interno dei confini. Sull’altro lato della frontiera il nuovo presidente messicano López Obrador ha invece annunciato la disponibilità del suo governo ad accogliere i migranti centro-americani. Rispetto alla chiusura del potente vicino, è una piccola lezione di umanità da parte di un Paese che certamente dispone di meno risorse e ha grandi problemi interni, ma almeno in questo caso mostra di non voler cedere al vento della paura e dell’odio. Vedremo.
Sociologo, Università di Milano e Cnel