lunedì 30 gennaio 2023
L'attacco (attribuito a Israele) a un impianto in Iran potrebbe essere legato ai droni inviati a Mosca. Il Cremlino pensa a Medvedchuk per il dopo Zelensky. Che ora contesta il Cio sugli atleti russi
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La guerra in Ucraina è al suo 341° giorno con un potenziale allargarsi della crisi verso lo scacchiere mediorientale, mentre all’avvicinarsi di un anno dall’inizio dell’invasione russa le implicazioni del conflitto si ramificano e si allargano, fino a ricomprendere forti tensioni sullo sport e lo spettacolo, come peraltro è già successo in questi mesi. E mentre si apprende ora di una minaccia diretta di Putin all'allora premier britannico Johnson durante una telefonata prima del 24 febbraio 2022, proseguono i combattimenti con le truppe russe che sarebbero ormai vicine a Vugledar, nuovo fronte caldo del conflitto. Secondo il leader dei separatisti a Donetsk, le truppe della Federazione stanno avanzando verso la cittadina che dista 150 chilometri da Bakhmut, altra città chiave che Mosca cerca di conquistare da mesi.

A tenere banco intanto è la notizia che sabato scorso droni di ignota provenienza hanno attaccato un sito produttivo di armamenti a Isfahan, evento che ha scatenato le interpretazioni sulla matrice dell’attacco e i reali scopi dell’azione. Secondo molti analisti e fonti ufficiose di varie cancellerie, si sarebbe trattato di un’operazione condotta da Israele con il via libera Usa per rallentare il programma nucleare iraniano, ma potrebbe avere anche avuto come scopo colpire la fabbrica che si ritiene fornisca droni e missili alla Russia da utilizzare contro obiettivi ucraini.

In quel caso, ancora da confermare, sebbene la soddisfazione espressa da esponenti di Kiev possa indicare quella direzione, si tratterebbe di un allargamento indiretto della guerra e di una uscita dall'equidistanza da parte di Gerusalemme – che all’inizio dell’aggressione russa si era proposta come mediatrice fra le parti. È noto che i velivoli senza pilota forniti da Teheran si stanno rivelando armi particolarmente efficaci per Mosca, poco costose e capaci di colpire bersagli strategici con buona precisione, sfuggendo spesso alla contraerea di Kiev.

Un attacco sul territorio iraniano senza una minaccia diretta e imminente costituisce una violazione del diritto internazionale, sebbene dal punto di vista della Realpolitik Teheran si è posta da tempo al di fuori degli accordi e delle regole con il mancato rispetto delle intese sul nucleare militare e, ultimamente, con il sostegno all’aggressione della Russia all’Ucraina. Non sembra comunque probabile che vi possa essere una serie di attacchi tesi a neutralizzare le forniture a Mosca, tanto più che alcuni componenti delle armi prodotte provengono ancora dall’Occidente.

I nodi internazionali legati alla guerra si presentano anche per le future decisioni del Cio circa la partecipazione di atleti russi e bielorussi alla prossima Olimpiade di Parigi. All’orientamento favorevole del Comitato si è subito opposta l’Ucraina – sostenuta anche da altri Paesi europei –, che si è detta pronta a un boicottaggio di protesta. Dalla presidenza di Kiev è arrivata anche l’accusa al Cio di essere “promotore della guerra e della distruzione”, seccamente respinta da Losanna come “diffamatoria” e ostacolo a una “discussione costruttiva”.

In piccolo, si può legare a questa vicenda quella della presenza in video del presidente Volodymyr Zelensky al Festival di Sanremo, che sta dividendo la politica italiana. Ci sono ottime ragioni per opporsi alla commistione tra la tragedia della guerra con il contesto leggero della rassegna canora e per portarvi invece messaggi di dialogo e pace. D’altra parte, è comprensibile la volontà di dare la maggiore audience possibile al messaggio dell’Ucraina martoriata e in cerca di ulteriori attenzioni e aiuti umanitari e bellici.

Tutto questo rimane però in secondo piano rispetto ai piani per la primavera, che dovrebbero dare una svolta al conflitto nei progetti sia di Mosca sia di Kiev. Il Cremlino cerca di accelerare l’arruolamento e la dislocazione di nuovi armamenti prima che il nemico possa beneficiare dell’invio di carri armati e artiglieria da parte dei Paesi Nato. Londra ha detto che i suoi tank (non i più potenti) saranno in prima linea in aprile. D’altra parte, l’Ucraina, sollecita già anche caccia F16 (ricevendo il no di Berlino, una cauta apertura da Macron e l'invito a una decisione condivisa dalla Polonia), missili a lunga a gittata e persino un sommergibile per difendere il proprio territorio e poter mettere in campo una controffensiva risolutiva nella stagione calda. La volontà di una vittoria difficile da ottenere emerge da diversi scenari che sono venuti alla luce in questi giorni su entrambi i fronti.

Mosca pensa a un governo fantoccio dopo Zelensky con Viktor Medvedchuk, ex oligarca, politico, imprenditore, già deputato alla Verchovna Rada e presidente del partito filorusso di opposizione per la Vita. Arrestato per tradimento ed evaso, Medvedchuk era stato catturato il 12 aprile scorso dalla polizia di Kiev, quindi consegnato alla Russia in cambio di un gruppo di prigionieri ucraini, tra cui i leader del reggimento Azov in azione a Mariupol. Kiev invece è al lavoro su un piano di riconquista armata della Crimea, ritenuta una possibile pedina per i futuri negoziati.

Ma entrambi i progetti sembrano di difficile fattibilità, lasciando aperta la prospettiva di una guerra lunga e ancor più sanguinosa. Lo spirito patriottico cresciuto in Ucraina dovrebbe impedire l’installazione di una nuova leadership imposta totalmente dall’esterno, pena una instabilità perpetua del Paese. Ugualmente, la possibilità che le forze armate di Kiev riescano a espellere i russi dalla penisola richiede una serie di circostanze e di disponibilità militari che paiono per ora irraggiungibili, insieme all’esitazione delle nazioni occidentali a un’azione di quel tipo.

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