Suor Antoinette Assaf nel dispensario Saint Antoine con un piccolo paziente e suo padre - Avvenire
Il sorriso di suor Antoinette Assaf è più tirato del solito: l’ennesimo black out, nella mancanza di medicine e senza benzina per andare a recuperare le poche presenti, è una tortura anche psicologica. Ma il dispensario Saint Antoine a Rouisset, sostenuto dalla Fondazione internazionale Buon Pastore (Focsiv), resta un’oasi nel deserto della disperazione libanese.
Suor Antoinette, qual è la vostra situazione, dopo il lockdown, e in questa durissima crisi economica?
Non è un momento difficile, è catastrofico. Ci sono libanesi che hanno perso il lavoro, c’è chi non ha gasolio per andare al lavoro o all’ospedale e i prezzi dei beni di base sono enormemente aumentati. Un salario normale ora non arriva più a coprire i bisogni di base di una famiglia. Chi poteva è già partito mentre si sta diffondendo la depressione. Un anno fa al dispensario abbiamo aperto il servizio di salute mentale: avevamo 30 pazienti, ora sono 150. Vi è, assieme alle altre, pure un’emergenza sanitaria, le malattie aumentano ma non c’è gasolio nemmeno per le apparecchiature mediche negli ospedali e più di 10mila medici, con una esperienza tra i 5 e i 20 anni, hanno lasciato il Paese. Due anni fa eravamo il Paese con il miglior servizio sanitario nel Medio Oriente, ora non ci sono abbastanza terapie per il Covid, per i dializzati, per i decorsi post operatori. Si fanno solo operazioni salva vita, ma non si può ingessare una frattura. Da qualche giorno c’è un nuovo governo, ma è la stessa classe dirigente. Malgrado ciò si spera che con le elezioni arrivi un vero cambiamento per il nostro Paese che ha un grande potenziale.
Ci sono, dopo le promesse internazionali, aiuti per i libanesi o i sussidi ora sono solo per i rifugiati?
La situazione è molto delicata: per molti anni i sussidi, è vero, sono andati ai rifugiati di diverse nazionalità. Ora c’è neces- sità di sussidi anche per la popolazione libanese, ma ci si promette l’aiuto a fronte di riforme che non avvengono da parte del governo. Intanto ciascuno continua a combattere la sua battaglia politica mentre la popolazione continua a soffrire.
Quale riforma auspica per prima?
Fermare la corruzione. Poi, non poche cose potrebbero funzionare.
Il Libano, con una forte minoranza cristiana, resta un modello di convivenza ma ora con forti segnali di forte conflittualità...
Servono delle soluzione politiche per governare l’economia. Dato che questo tarda a venire è molto importante che la Chiesa, i capi religiosi, le Ong si impegnino a essere solidali insieme, a promuovere una sensibilizzazione. Si devono aiutare cristiani e musulmani a riflettere insieme, dare alle famiglie e ai giovani degli obiettivi: bisogna continuare a combattere per questo sogno della convivialità. Qui al dispensario, senza fare discriminazioni, si dà accoglienza senza condizione secondo il nostro motto: «La religione è per Dio, il dispensario è per tutti». Più in generale il Libano ora è come una donna che soffre enormemente ma vuole rialzarsi per prendersi cura dei suoi figli.
Si è parlato di una visita del Papa nei prossimi mesi. Qual è la sfida per voi cristiani d’Oriente rimasti qui?
Quando il Papa verrà porterà una ventata di energia e speranza molto importante per tutti i libanesi, in particolare per i cristiani. La sfida per i cristiani è dovuta dalla pressione dei Paesi vicini sul nostro piccolo Paese: è per questo che alcuni posti, in certi ministeri, sono dati solo ai musulmani. Ora la Chiesa cerca di rinforzarsi e di essere sempre più al servizio del popolo con le sue diverse organizzazioni. La convivenza è possibile se tutti i partiti vi credono e noi, al dispensario, cerchiamo di essere un laboratorio: cristiani e musulmani, che credono nell’essere umano, lavorano insieme.