La sala d’aspetto della stazione di Przemysl dove si radunano i profughi in arrivo in Polonia dall’Ucraina - Lambruschi
Il carrello della spesa pieno di orsacchiotti di peluche è fermo da una settimana al binario 1. Sono i giocattoli sospesi lasciati ai bambini ucraini che scendono con mamme e nonne alla stazione di Przemysl, prima fermata della speranza per chi passa la frontiera con l’inferno ucraino. Se in Polonia, secondo la guardia di frontiera, dall’inizio del conflitto sono entrati quasi 1,5 milioni di profughi, questa è la prima porta di accesso ferroviaria.
Davanti al vecchio edificio asburgico – dove il sindaco nazionalista Wojciech Bakun si è rifiutato di ricevere Matteo Salvini rinfacciandogli il sostegno a Putin – tra polizia e volontari si accalca una folla di donne e bambini con zaini e sacchi a pelo, che aspetta di salire sui pulmini verso la destinazione polacca o europea indicata. Molti sono seduti a terra. È un hub solidale, si resta poche ore per rifocillarsi. E si condividono tragedie.
«È sempre pieno – spiega Natasza Bogacz, operatrice della Caritas norvegese da una settimana in appoggio alla Caritas polacca che sta gestendo l’accoglienza – perché i treni dall’Ucraina scaricano profughi in continuazione. Fino a mercoledì i viaggi della speranza duravano anche tre giorni, adesso in 20 ore si arriva». Il bombardamento di Kharkiv con le uccisioni dei civili in fuga hanno dato una spinta decisiva al flusso. Chiedo conferma sulle discriminazioni subite da studenti africani e lavoratori stranieri residenti in Ucraina. Ai volontari risulta che siano state commesse dalle guardie di frontiera ucraine.
Dentro la stazione si fatica a entrare, ristorante e sale d’aspetto sono state trasformate dalla Caritas in mensa e ambulatorio per donne e bambini. Nell’atrio la confusione è assoluta. I pianti dei bambini vengono interrotti dai volontari della Croce rossa polacca e dalle Caritas della Polonia che distribuiscono zuppe calde, tè e dolciumi. Molti volontarius, come scritto sui gilet rossi, come Natasza vengono dall’Europa settentrionale. Sono figli di immigrati polacchi o ucraini che conoscono la lingua e tornano per chiudere il cerchio della propria storia.
Chi è andata e tornata dall’inferno è Anja, 34 anni, di Krivyi Rih, a sud. «Sono arrivata una settimana fa per portare in salvo mia figlia di 13 anni. È venuta a prenderla mia sorella che è emigrata anni fa in Polonia. Poi sono tornata per restare con mio marito, ma è diventato troppo pericoloso. La mia cittadina è stata finora risparmiata dai bombardamenti, ma i russi hanno colpito i Paesi intorno, le sirene suonavano in continuazione. Mio marito mi ha messo martedì sul treno per Leopoli, poi ieri sono riuscita a salire su quello per la Polonia e stamattina sono arrivata qui. Aspetto mio cognato. Poi appena c’è una tregua torno a casa. A Krivyi Rih è rimasta anche mia nonna di 86 anni che non ha paura di morire. Se deve succedere, mi ha detto, voglio che sia a casa mia».
Come Anja molti ucraini hanno parenti emigrati in Polonia lo scorso decennio. E resteranno ospiti di famigliari e amici mentre i bambini che non conoscono la lingua potranno frequentare corsi specifici e le lezioni scolastiche. Madri e figli minori vengono accolte dalle suore di Przemysl oppure nei centri di accoglienza adibiti a scuola e nel capannone del centro commerciale Tesco. Come Anja è tornata all’inferno anche una giovane mamma con la bambina piccola in braccio. Erano entrambe sotto choc. La donna ha detto alle volontarie della Caritas che non potevano restare lì, la figlia non smetteva di piangere perché voleva il papà, dovevano tornare a casa per stare con il marito.
C’è anche chi fa spola verso l’Italia per riunire le famiglie. Agostino Sella di "Don Bosco 2000" dei salesiani sta girando gli hub dell’accoglienza con il cartello "Sicily". «Abbiamo comunità a Enna, Catania e Piazza Armenina. Accompagniamo chi ha parenti nell’isola o chi non sa dove andare. Siamo arrivati mercoledì e ripartiremo sabato. Finora abbiamo raccolto l’adesione di 20 persone». C’è infine chi dalla sala di aspetto di non si vuole muovere. Rita, 70 anni, foulard da contadina in testa, viene da Zytomierz.
«Sono fuggita quando i russi hanno distrutto l’ospedale due giorni prima di Mariupol. Fortunatamente non ci sono state vittime. I miei due figli emigrati in Germania hanno detto che verranno a prendermi». Arriveranno in treno, Rita ha paura di perderli e resta accampata nella stazione della speranza.