Bambini a lezione in un campo profughi a Idlib - Reuters
Caccia americani hanno condotto raid aerei contro milizie filo iraniane in territori di confine tra Iraq e in Siria. Lo annuncia il Pentagono, spiegando che nei raid sono stati colpiti centri operativi e magazzini di armi. Si tratta di un'operazione condotta in risposta agli attacchi condotti con droni da parte dei miliziani contro le truppe americane. Protesta il premier iracheno Mustafa al-Kadhimi, che definisce il raid una "flagrante violazione" della sovranità irachena sul proprio territorio.
Oggi si tiene a Roma la riunione ministeriale della Coalizione Globale contro il Daesh, copresieduta da Italia e Stati Uniti. "In Siria ci sono ancora 10mila miliziani del Daesh, una situazione insostenibile" ha detto introducendo i lavori il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che stamani è stato ricevuto dal Papa.
Il Daesh in Siria è stato ufficialmente dichiarato sconfitto dalla Coalizione internazionale a guida Usa nella primavera del 2019. Eppure, proprio due giorni fa, il Dipartimento di Stato americano ha ribadito che intende mantenere una presenza militare nel Nord-Est siriano per lottare contro l’organizzazione terroristica. E non solo perché il Daesh controlla ancora cinque o sei “enclave” disseminate nel deserto (tra Sukhna, Rusafa e Jabal al-Bishri) che i caccia russi hanno bombardato negli ultimi giorni. Ma anche perché il Daesh è tornato a dettare legge nella provincia orientale di Deir ez-Zor, contesa da due anni tra le forze curde sostenute dagli Stati Uniti e le forze governa- tive appoggiate da militari russi e miliziani iraniani.
“Daesh ripristina la hisba”, cioè la polizia religiosa, titolava pochi giorni fa al-Monitor, un sito di approfondimento che dedica alla Siria ampio spazio. «Hisba» è l’appellativo comune dell’«Ente per la promozione del bene e la proibizione del male», che in alcuni Paesi islamici è incaricato di vegliare al rigoroso rispetto dei dettami della sharia. In particolare i media locali riferiscono di un’intensa presenza di agenti della hisba, la polizia del gruppo che era già stata operativa dal 2014. Alcune settimane fa, membri della hisba nella campagna a Est di Deir ez-Zor hanno avvicinato leader tribali della provincia intimando loro di dimettersi dai consigli provinciali, le amministrazioni locali di fatto controllate dalle forze curde, pena la morte. Agli stessi leader tribali è stato imposto di non avere rapporti con gli emissari curdi né tanto meno con i rappresentanti delle forze statunitensi presenti nella ricca regione petrolifera al confine con l’Iraq.
Altre fonti riferiscono di posti di blocco eretti da agenti della hisba a Est del capoluogo, fermando le auto e controllando che le donne a bordo dei veicoli rispettino i dettami della legge islamica: coperte in volto, senza trucco, e lontane dai sedili occupati da uomini che non sono loro diretti parenti. Nella stessa zona, la “polizia” del Daesh ha dato fuoco a negozi che vendevano alcol e sequestrato carichi di tabacco. In altri casi, gli uomini della hisba sono riusciti indisturbati a raccogliere la zakat, ossia l’elemosina tradizionale islamica. Secondo Orabi Abdelhay, un esperto di gruppi radicali interpellato da al-Monitor, Daesh «cerca in questo modo di ripristinare una legittimità sul territorio e di raccogliere fondi come forma di autofinanziamento» per compensare gli ingenti introiti di cui disponeva una volta grazie alla tassazione diretta, oppure alla vendita del petrolio greggio e la gestione del lucroso traffico di droga e di artefatti archeologici.
Ampi settori della popolazione locale araba, organizzata in clan tribali spesso rivali tra loro, affermano di essere da anni vessati e discriminati dalle autorità curde e sono frequenti gli episodi di tensione nella campagna tra le due comunità, sullo sfondo dei rastrellamenti alla ricerca di presunti terroristi e di uomini che si rifiutano di essere arruolati nelle milizie curde. In questo clima di ostilità, il Daesh si ripropone come l’unica alternativa ideologica in territori dove il tasso di povertà rimane molto alto e dove da decenni c’è una cronica mancanza di servizi di base. La pseudo-entità amministrativa del Daesh fa certamente valere anche i suoi ultimi successi militari. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani, nel 2020 il Daesh ha ucciso 819 militari siriani e miliziani filo-governativi, contro almeno 507 jihadisti persi dall’organizzazione terroristica, che sono comunque riusciti a espandere il loro controllo di fatto su un territorio desertico e stepposo esteso per oltre 4mila chilometri quadrati. Non si tratta di un controllo territoriale diretto, come era accaduto fino alla primavera del 2019, ma comunque di una presenza costante, radicata nelle zone periferiche lasciate da decenni ai margini dello sviluppo sociale ed economico.