giovedì 3 agosto 2023
Un anno fa partiva la prima nave carica di cereali dopo l’accordo sul grano, ora disdetto. Ieri nel mirino sono finiti i silos di Izmail, al confine con la Romania
Grano in Ucraina

Grano in Ucraina - ANSA

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Granai ucraini ancora a fuoco. Nella notte tra martedì e mercoledì la Russia ha attaccato con droni iraniani i silos e i magazzini di Izmail, porto fluviale della regione di Odessa al confine con la Romania. Le fiamme degli incendi che si sono propagati hanno compromesso l’operatività dell’intero sito sul Danubio, un piccolo ma cruciale snodo del traffico navale verso il Mar Nero. Il raid, che non ha causato morti, riporta al centro della guerra tra Mosca e Kiev lo spettro della fame globale che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è determinato ad allontanare invitando il leader russo Vladimir Putin a ragionare.

Assediare le infrastrutture ucraine da cui dipende la distribuzione del grano nel mondo è, per dirla con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, «una minaccia alla sicurezza alimentare di tutti i continenti». Basta dare un’occhiata alla mappa dei cargo registrati su Marine Traffic, un sito per il tracciamento delle navi, per rendersi conto di quante, ieri, erano le imbarcazioni registrate per l’ingresso al porto di Izmail rimaste bloccate alla foce del fiume. Dozzine. Tra le bandiere che le contrassegnavano c’erano, solo per citarne alcune, quelle di Palau, Vanuatu, Sierra Leone, Guinea-Bissau, Liberia. Sulla deliberata distruzione dei silos era intervenuto, domenica, anche papa Francesco con un appello all’immediato ripristino del corridoio del grano.

L’attacco russo a Izmail è solo l’ultimo della serie dedicata ai porti e ai silos ucraini. Il 24 luglio erano state prese di mire le strutture di Reni. La settimana prima era toccato a Odessa, l’hub principale dell’era precedente l’invasione, bersagliato da missili e droni, ininterrottamente, per due giorni. I bombardamenti mirati sono iniziati quando, era il 17 luglio, la Russia ha deciso di non rinnovare l’accordo che per un anno ha garantito alle navi cariche di cereali ucraini di entrare e uscire in sicurezza dai porti sul Mar Nero per raggiungere i Paesi la cui sicurezza alimentare dipende proprio dalle risorse ucraine. La prima nave a salpare fu la “Razoni”, battente bandiera del Sierra Leone, che partì l'1 agosto 2022 dal porto di Odessa carica di 26mila tonnellate di mais per dirigersi verso Istanbul dove sarebbe stata ispezionata da delegati di Ankara, Mosca, Kiev e delle Nazioni Unite per poi riprendere il viaggio verso il Libano, la sua destinazione finale. Lungo il corridoio che ha preso forma con l’intesa, raggiunta sotto l’egida delle Nazioni Unite, su sollecitazione della Turchia e della Cina, sono transitati in tutto circa 33 milioni di tonnellate di cereali. Il blocco de facto dei porti ripristinato a metà luglio ha costretto i cargo a esplorare rotte alternative come quelle fluviali, previa sottoscrizione di costose polizze assicurative ad hoc.

Il raid del Cremlino a Izmail ha rinnovato un chiaro altolà. Il portavoce del Comando delle forze aeree ucraine, Yuriy Ihnat, ha spiegato che è stato compiuto con droni iraniani Shahed piombati sul porto, nello stesso momento, da tre direzioni diverse. L’operazione è stata studiata, in sostanza, per non fallire. Gli obiettivi sono stati colpiti con precisione chirurgica anche per non oltrepassare il confine con la Romania, Paese membro della Nato, che è pochi chilometri lontano dai silos finiti nel mirino. Le 44mila tonnellate di grano andato in fumo, ha precisato Oleksandr Kubrakov, ministro delle Infrastrutture ucraino, erano destinate in particolare a Cina, Israele e a diversi Paesi africani.

A sbloccare la situazione ci ha provato, ieri, Erdogan che ha parlato a telefono con Putin spiegandogli che «il Mar Nero deve continuare ad essere un ponte di pace» e che la sospensione dell’accordo sulle forniture di cereali «non beneficia nessuno». Mosca non sembra intenzionata a fare passi indietro. Ha fatto solo sapere che rientrerà nel patto «non appena l’Occidente adempirà a tutti gli obblighi nei confronti della Russia» abolendo le restrizioni all’export dei suoi cereali e fertilizzanti.


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