Un campo profughi dei saharawi cacciati dai loro territori dall'invasione marocchina. La foto è del 2010, da allora per questo popolo non è cambiato nulla - Archivio Avvenire / Mastromatteo
Per molti osservatori la Marcia Verde cominciata da re Hassan II il 6 novembre 1975 nel Sahara occidentale è arrivata dopo 47 anni al Palazzo della Moncloa. Ha un forte valore simbolico e geostrategico la svolta nella posizione della Spagna sull’ex colonia, per chiudere la grave crisi diplomatica dell’ultimo anno con Rabat.
In una lettera inviata dal premier Pedro Sánchez al re del Marocco Mohamed VI, Madrid pone fine alla tradizionale neutralità nel conflitto nella regione. E appoggia la soluzione proposta dal Marocco nel 2007 all’Onu di concedere un’autonomia limitata al Sahara occidentale – escludendo un referendum di autodeterminazione del popolo saharawi – come «la base più seria, realista e credibile per risolvere il contenzioso» sul territorio. Dove le forze di sicurezza marocchine e il Fronte di liberazione Polisario hanno ripreso a combattere da novembre 2020.
«La Spagna soccombe al ricatto del Marocco», la reazione immediata del Fronte Polisario al «secondo tradimento storico».
Per mezzo secolo i governi sia a guida socialista che del Pp avevano sostenuto l’equidistanza. Nel suo messaggio, diffuso dal Gabinetto reale alauita, Sánchez fa invece un passo storico al fianco di Rabat nell’ammettere gli «sforzi seri e credibili nel quadro delle Nazioni Unite per trovare una soluzione mutuamente accettabile», quando la stessa Onu si era limitata a «prendere atto» del piano di autonomia.
La “capitolazione”, 10 mesi dopo l’invasione di 10mila migranti nell’enclave di Ceuta. La ritorsione per l’accoglienza in Spagna del leader del Polisario, Brahim Gali, colpito dal Covid-19. In realtà, l’inasprimento del braccio di ferro di Rabat per forzare Madrid a sostenere i suoi obiettivi, proseguito con l’estensione della zona economica esclusiva del Marocco fino alle acque delle Canarie, i flussi migratori record verso l’arcipelago, e i recenti massicci assalti alla frontiera di Melilla.
Nella missiva Sánchez reitera a Mohamed VI «la determinazione per affrontare assieme le sfide comuni, specialmente la cooperazione della gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo e nell’Atlantico, con spirito di totale cooperazione».
Un impegno tuttavia non riflesso nel comunicato di Rabat. «L’importante è che siamo d’accordo nello spirito», ha commentato il ministro degli esteri Albares, nell’annunciare «l’inizio di una nuova tappa» nelle relazioni col vicino. E ha minimizzato le “differenze” con il socio di governo Podemos, contrario alla decisione. Bollata anche dal Pp come «una temerarietà», mentre l’Algeria richiamava immediatamente l’ambasciatore a Madrid. La sovranità del Marocco sul Sahara occidentale era stata riconosciuta nel 2020 da Trump in cambio della normalizzazione dei rapporti con Israele. E Biden l’ha avallata.
Nel frattempo, 25 Paesi hanno aperto consolati nella regione. Dopo Francia e Germania anche Spagna apre a un’autonomia ridotta del territorio saharawi, nonostante si profili uno scenario di grande incertezza con Algeri, suo principale fornitore di gas nella difficile crisi energetica, aggravata dall’invasione russa dell’Ucraina.