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Da un lato un presidente che esorta il Congresso a seguirlo su Twitter se vuole avere aggiornamenti sul conflitto con l’Iran. Dall’altro una Camera dei deputati, controllata dai democratici, pronta a votare una risoluzione per limitare le azioni militari decise dalla Casa Bianca. Nel pieno della procedura sull’impeachment contro Donald Trump e a meno di un mese dall’avvio della corsa delle primarie che porterà alle presidenziali di novembre, la tensione con Teheran rischia di fare da detonatore anche ai conflitti irrisolti interni agli stessi Stati Uniti. Trump, dopo un numero record di uscite dalla sua Amministrazione, si fida solo di una cerchia di ristretta di consiglieri e funzionari.
Subito dopo il raid contro il generale iraniano Qassem Soleimani, c’è chi ha notato come il Pentagono si sia affrettato a precisare che l’ordine arrivava direttamente dal presidente, una giustificazione di certo non dovuta e abbastanza inusuale, forse segno di posizioni diverse sull’efficacia strategica del raid.
Chi invece si è mostrato da subito risolutamente al fianco di Trump è il segretario di Stato Mike Pompeo, dettosi anche «deluso» dallo scarso appoggio ricevuto dagli alleati europei. Con il Congresso la partita è tutta da giocare, anche se c’è chi nota come storicamente i presidenti Usa abbiano sempre trovato il modo per assumere il ruolo di comandanti in capo (come peraltro la Costituzione prevede) quando lo hanno ritenuto opportuno, senza lasciarsi troppo imbrigliare. Sabato scorso, la Casa Bianca non ha notificato al Congresso le sue azioni, come invece previsto dalla legge sui poteri di guerra del 1973, offrendo solo scarne e poco dettagliate informazioni.
Trump, com’è nel suo stile, non se n’è curato, sostenendo anzi via Twitter che la notifica al Congresso «non è necessaria» e suggerendo ai deputati di seguirlo sul social network per avere aggiornamenti. Di fatto la notifica è poi arrivata domenica, ma senza una spiegazione legale dell’attacco e con i democratici che mettono in dubbio che il presidente abbia il potere di colpire senza chiedere l’autorizzazione al Congresso.
La speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi, colei che ha tirato le fila dell’impeachment contro il presidente, ha quindi annunciato una risoluzione che ha l’obiettivo di limitare eventuali azioni militari di Trump, parlando del raid contro Soleimani come di un attacco «provocatorio e sproporzionato » che «ha messo in pericolo i nostri militari, i nostri diplomatici e altri, rischiando una grave escalation di tensione con l’Iran».
La risoluzione imporrà che le ostilità militari con l’Iran cessino entro 30 giorni a meno di ulteriori autorizzazioni del Congresso, che a quel punto equivarrebbero a una dichiarazione di guerra. Lo scenario resta precario non solo riguardo alla situazione con l’Iran ma anche rispetto all’Iraq, laddove peraltro ha avuto luogo lo stesso raid contro Soleimani. Secondo il sito americano Axios, l’amministrazione Trump aveva provato a fermare il voto non vincolante del Parlamento iracheno per l’espulsione delle forze Usa dal Paese.
L’Iraq rischierebbe di finire sotto l’influenza dell’Iran e quindi sotto sanzioni Usa. Ieri, peraltro, Trump ha minacciato non solo «grandi sanzioni» ma anche di farsi restituire i soldi spesi per la base militare Usa, «straordinariamente costosa ». Sia da Baghdad che da Teheran i segnali che arrivano a Washington non sono rassicuranti. Trump prova a mostrare i muscoli e ancora ieri ha ribadito che «l’Iran non avrà mai l’arma nucleare», nonostante l’uscita dall’accordo sul nucleare da parte di Teheran per poter produrre e arricchire l’uranio. La partita da giocare rischia di essere lunga e piena di imprevisti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Pelosi è già sulle barricate Il presidente: «I deputati mi seguano su Twitter, Teheran non avrà la bomba» FRONTE INTERNO