Laura Frigenti - Gpe
Bastano un paio di numeri per dare le misure della crisi educativa globale: 244 milioni di bambini che non vanno a scuola (come quasi la metà dei minori rifugiati) e 24 milioni che non sono tornati in classe dopo i lockdown del Covid. Investire sui sistemi scolastici dei paesi a basso reddito, quindi, è la premessa di ogni politica di sviluppo, ma anche un contributo importante per prevenire l’emigrazione, il terrorismo, le guerre. Il G7 del 2024 presieduto dall’Italia potrà prendere decisioni importanti: «Quella dell’educazione oggi è un’emergenza drammatica», ripete Laura Frigenti, direttore esecutivo della Global Partnership for Education, che sta visitando i governi dei sette paesi perché mettamo in agenda questa sfida.
I nemici della scuola sono tanti: «Il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la crisi energetica, la guerra in Ucraina che ha prodotto milioni di profughi e deviato risorse indirizzate all’Agenda 2030. Le conseguenze si vedranno tra 15 o 20 anni». Manca ancora una piena consapevolezza: «Quando ragioniamo con i leader – racconta - ci dicono “sì, è vero, ma la mancanza di investimenti nell'educazione non uccide nessuno”. Invece è un processo di slow killing, a lungo termine. Mentre l’educazione produce stabilità: pensi alla Somalia e ai terroristi di Al Shabab, o alla Nigeria con Boko Haram. Giovani che non hanno studiato, non hanno occupazione e si sentono senza futuro. E si aggrappano a chi gli offre una speranza».
Per la Gpe ora l’Italia è importantissima perché con la presidenza del G7 può mettere sul tavolo temi importanti:«Questo esecutivo – afferma Frigenti - ha una grande attenzione per l'Africa e il Medio Oriente. Il futuro di crescita di questi paesi è legato alla creazione di una classe dirigente per ridurre i flussi migratori irregolari. Si parla di “Piano Mattei per l’Africa”. Ma gli investimenti per le infrastrutture, da soli, se non accompagnati con una crescita delle capacità degli individui, renderanno poco. Se l’obiettivo è investire per rendere autosufficiente il Sud del mondo, c’è bisogno dell’hardware, ma anche del software». Il computer senza il sistema operativo non funziona.
«Noi lavoriamo in oltre 90 paesi, in tutti quelli africani – spiega – e abbiamo idee su quali sono i bisogni, cosa funziona e cosa no, e su cosa è utile per accelerare lo sviluppo. E l’Italia sostiene il Gpe, un finanziamento modesto, ma so quali sono le risorse della cooperazione avendola gestita per vari anni. Ma sarebbe già importante che l’Italia avesse un ruolo di leader su questo tema per coinvolgere tutto il G7». Il problema di questa epoca, sostiene il direttore esecutivo della Gpe, «è che manca una visione a lungo termine. Prevale l’interesse per i risultati che si ottengono entro il ciclo elettorale. Ma ci sono risultati nell’educazione non quantificabili». Quali sono? «Le ragazze in Iran. Quelle che hanno protestato in piazza erano donne istruite, che hanno acquisito una maturità di pensiero. Dubito che avrebbero fatto lo stesso se fossero sempre rimaste a casa a cucinare».
La responsabile della Global Partnership cita Lindsey Graham: «È un vecchio senatore repubblicano americano: dice che il modo migliore per sconfiggere i talebani è finanziare l’educazione delle donne. Gli investimenti nell’educazione sono politiche di sicurezza, non filantropia». Per Frigenti insomma «i paesi a basso reddito riusciranno ad agganciarsi ai processi di crescita solo migliorando la preparazione delle persone. Che altrimenti penseranno che l'unico modo per risolvere i problemi sia scaricare la rabbia diventando terroristi». E l’Italia non può dimenticare il suo passato: «Siamo un paese che ha 100 milioni di concittadini nel mondo, ma ci siamo dimenticati cosa significa dover emigrare».