giovedì 20 marzo 2025
Trentenne, sposato, è stato incarcerato per aver partecipato a eventi pro Pal. «Rappresenta un pericolo». Lui si è dichiarato «prigioniero politico» negli Usa. Il giudice ha sospeso l'allontanamento
Mahmoud Khalil, 30 anni, studente palestinese di un master in Relazioni internazionali della prestigiosa Columbia University di New York. Nelle proteste contro la guerra di Gaza è stato portavoce degli studenti pro Palestina

Mahmoud Khalil, 30 anni, studente palestinese di un master in Relazioni internazionali della prestigiosa Columbia University di New York. Nelle proteste contro la guerra di Gaza è stato portavoce degli studenti pro Palestina - Reuters

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«Sono un prigioniero politico». È il grido di Mahmoud Khalil, 30 anni, lo studente palestinese della Columbia University fermato e arrestato dalle autorità federali degli Stati Uniti perché rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale. Lo ha raccolto il quotidiano britannico The Guardian che ieri ha pubblicato una dichiarazione da lui dettata a telefono da un centro di detenzione in Louisiana.

Khalil, questa è in breve la sua storia, è arrivato Oltreoceano nel 2022 con un visto per studenti essendo stato ammesso a un master in relazioni internazionali del prestigioso campus newyorkese. L’anno dopo si è sposato con una cittadina americana, Noor Abdalla, e ha ottenuto la “green card” ovvero un regolare permesso di residenza negli Stati Uniti. La scorsa primavera è stato tra gli studenti in prima linea nelle proteste e nei sit-in organizzati alla Columbia (e in altre università americane) a sollecitare l’attenzione dell’allora presidente Joe Biden alla causa dei palestinesi durante i mesi più duri della guerra tra Israele e Hamas. Lo scorso 8 marzo è stato fermato sul portone della sua abitazione a Manhattan e arrestato sotto gli occhi sconvolti della moglie, all’ottavo mese di gravidanza. Le autorità gli hanno spiegato di aver eseguito un ordine di revoca della “green card” disposto dal dipartimento di Stato ai sensi di una (poco applicata) legge sull’immigrazione del 1952 che legittima la deportazione di un regolare residente se il ministro degli Esteri ha «ragionevoli motivi» per ritenere che la sua presenza nel Paese può danneggiare la politica estera degli Stati Uniti. La stessa legge (Immigration and Nationality Act, 1952: erano i tempi del maccartismo) fu usata per negare il visto, nel 1975, a Giorgio Napolitano allora dirigente del Pci invitato a tenere un ciclo di conferenze da prestigiose università Usa (tre anni dopo, con Jimmy Carter alla presidenza, andò a parlare a Harvard, Princeton e Yale).

Il titolare della diplomazia a stelle e strisce, Marco Rubio, ha più tardi chiarito senza mezzi termini che la partecipazione a «eventi pro-Hamas» , caratterizzati da atti di molestia antisemita contro studenti ebrei, sono contrarie alle posizioni assunte da Washington sullo scacchiere mondiale.

Il momento dell'arresto, in casa sua, filmato dalla moglie con il telefonino. I coniugi aspettano il primo figlio per il mese prossimo. Khalil ha regolare 'green card' e la moglie è cittadina americana

Il momento dell'arresto, in casa sua, filmato dalla moglie con il telefonino. I coniugi aspettano il primo figlio per il mese prossimo. Khalil ha regolare "green card" e la moglie è cittadina americana - Reuters / fermoimmagine da video

L’arresto del trentenne, nato in un campo profughi palestinese in Siria, è stato contestato in punta di diritto dall’avvocato Amy Greer che ha imbastito la difesa facendo appello alle tutele della libertà di espressione contemplate dal Primo Emendamento della Costituzione. Lunedì, il giudice federale Jesse Furman ha bloccato la deportazione immediata ordinata dall’Amministrazione trumpiana nei confronti di Khalil. Decisione confermata ieri da una sentenza che deciso pure dove il caso verrà dibattuto: non nello Stato conservatore di Louisiana, dove l’uomo è al momento detenuto, ma in quello democratico di New Jersey dove è stato confinato appena dopo l’arresto. Il togato Furman ha riconosciuto che il ricorso è basato «su accuse serie che meritano una revisione della Corte». In quali circostanze – questa è il cuore della controversia in odore di incostituzionalità – il governo può revocare lo status di residente permanente di una persona e rimuoverla dagli Stati Uniti? L’appello che Khalil ha lanciato al mondo dalla sua cella a Jena va oltre la questione palestinese: «Trump mi sta prendendo di mira – sottolinea – come parte di una strategia più ampia per sopprimere il dissenso». «I titolari di visti, i possessori di green card – questa è la sua previsione – finiranno nel mirino dell’Amministrazione solo per punire le loro opinioni politiche». La sua denuncia è densa di dettagli che aprono lo sguardo sullo spaccato di umanità sofferente “parcheggiato” nei centri di detenzione degli Stati Uniti: « L’uomo senegalese privato della sua libertà da un anno con la famiglia a un oceano di distanza», «il 21enne arrivato negli Stati Uniti a nove anni e deportato senza nemmeno un’udienza». « Al centro di detenzione di Elizabeth, in New Jersey, ho dormito per terra – racconta – e mi è stato rifiutata la richiesta di una coperta». «Chi ha il diritto di avere diritti?, si chiede. «Spero di tornare libero – conclude – per assistere alla nascita del mio primo figlio».

Una manifestazione a Times Square per il rilascio di Mahmoud Khalil

Una manifestazione a Times Square per il rilascio di Mahmoud Khalil - Reuters

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