venerdì 7 giugno 2024
Scade sabato l'ultimatum del ministro centrista del Gabinetto di guerra al premier. Ma Israele non andrebbe comunque a elezioni anticipate
I membri del Gabinetto di guerra israeliano con diritto di voto: da sinistra, il premier Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il ministro Benny Gantz

I membri del Gabinetto di guerra israeliano con diritto di voto: da sinistra, il premier Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il ministro Benny Gantz - Ansa

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È l’ennesimo fronte, l’ennesima spaccatura tra Nazioni Unite e Stato ebraico. Israele è finito nella «lista della vergogna» annuale dell’Onu, l’elenco di Paesi e gruppi armati che il segretario António Guterres ritiene abbiano commesso gravi violazioni contro i bambini durante i conflitti. Nella stessa lista sono finiti anche Hamas e la Jihad islamica. Immediata e rabbiosa la reazione del premier Benyamin Netanyahu: «L’Onu si è messa nella lista nera della storia quando si è unita ai sostenitori degli assassini di Hamas». Il governo israeliano ha anche congelato la richiesta di un’indagine sulla gestione di un conflitto nel quale sembrano essersi rotti tutti gli argini. «I tempi non sono ancora maturi» per una commissione statale d’inchiesta sulla gestione, da parte del governo, dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre. A dirlo il segretario del Gabinetto del premier Netanyahu, Yossi Fuchs, in risposta a una richiesta del procuratore generale dello Stato, Gali Baharav-Miara. E i tempi non sono maturi neppure per una decisione sulla proposta di tregua per Gaza annunciata dal presidente Usa Joe Biden, riformulata da Netanyahu e contestata ma finora non respinta da Hamas, con Egitto e Qatar che provano a mediare. Per lunedì è atteso a Gerusalemme il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. «Israele è nel mezzo di una feroce guerra» ha ricordato Fuchs. Una verità incontestabile.

All’indomani del bombardamento su una scuola dell’agenzia dell’Onu (Unrwa) gremita di sfollati, e per l’intelligence israeliana covo di Hamas, l’esercito continua a operare nel centro e nel sud della Striscia. Dall’inizio della settimana a Bureji e a Deir al-Balah «sono stati uccisi decine di miliziani», tra i quali «il capo di una cellula lanciarazzi di Hamas». A Rafah sono stati individuati «altri tunnel e armi». Per l’emittente araba al-Jazeera, «la stragrande maggioranza degli attacchi è stata effettuata senza preavviso e ha preso di mira aree densamente popolate». L’esercito avrebbe il pieno controllo del confine fra Gaza e l'Egitto, il Corridoio Filadelfia che va dal valico di Kerem Shalom al Mediterraneo.

Un rapporto della Cia suggerisce che Netanyahu stia andando avanti senza definire un piano per il dopoguerra, sfidando le pressioni di Biden per porre fine al conflitto. Pubblicamente l’inquilino della Casa Bianca ha sostenuto che l’alleato ha recepito i suoi moniti ridimensionando l’operazione contro l’ultima città ancora in piedi e roccaforte di Hamas: «Penso che mi stia ascoltando. Stavano entrando a Rafah a tutta forza. Non l’hanno fatto».

I tempi sono maturi invece per la scadenza dell’ultimatum dato a Netanyahu dal ministro del Gabinetto di guerra Benny Gantz, che aveva indicato l’8 giugno come termine ultimo per evitare l’uscita del suo partito Unità Nazionale dal governo d’emergenza, a meno che il premier non avesse presentato un piano per l’uscita da Gaza. Il centrista era entrato nell’esecutivo subito dopo il massacro del 7 ottobre, rafforzando la maggioranza con i suoi 12 deputati. Per stasera alle 19.40 italiane, terminato il silenzio del sabato, ha convocato una conferenza stampa: se dovesse uscire dal governo, come prevedono i media israeliani, questo tornerebbe alla maggioranza originaria di 63 seggi sui 120 della Knesset. Non si andrebbe dunque a elezioni. Poco prima dell’ultimatum di Gantz, era stato il ministro della Difesa Yoav Gallant (del partito Likud di Netanyahu) a chiedere al premier di prendere le distanze dai falchi ultraortodossi che vorrebbero colonizzare la Striscia, i ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, senza minacciare apertamente di dimettersi. La situazione si fa sempre più tesa in Cisgiordania: gruppi di coloni hanno appiccato il fuoco a oliveti e auto.


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