Le immagini delle vittime sopra una fossa comune a Izyum - Ansa / Afp
Ce n’è voluto di tempo. Uno alla volta. Interrogati, torturati, orribilmente seviziati. Compresi cinque bambini. E cinque numeri su un fascicolo per riassumere l’inferno in cifre: «194 corpi di sesso maschile; 215 corpi di sesso femminile; 22 corpi di militari; 5 corpi di bambini; 11 resti non identificati». Un totale di 440 cadaveri. A Izyum è andata peggio di Bucha. Non per i numeri, ma per la ferocia sadica di chi più per capriccio che per necessità voleva imporre la legge dell’invasore facendo ascoltare i supplizi alla gente di fuori, chiusa in casa disperando che la resistenza arrivasse.
Mancavano da mettere insieme gli ultimi pezzi, quel che resta di un uomo mutilato quand’era ancora vivo. «Per ucciderli hanno risparmiato proiettili», dice un medico. Non per ridurre lo spreco di munizioni, ma per impiegare il tempo nelle camere delle torture. Ad alcuni hanno amputato le mani durante gli interrogatori, ad altri i piedi, molti hanno segni di coltellate profonde e reiterate. C’è chi è morto dissanguato dopo essere stato evirato. E cosa abbiano fatto alle donne prima di ucciderle, ciascuno lo può immaginare. Ieri i tecnici forensi hanno finito il lavoro in mezzo alle croci nel bosco, tra le buche di fango dove i russi prima di scappare avevano gettato i corpi. Sul registro degli esperti forensi internazionali l’ultima pagina si chiude con poche righe. Da ottobre, quando i russi sono stati costretti alla ritirata, lavoravano nelle fosse comuni, con il timore che insieme ai resti umani i soldati avessero gettato delle mine, come poi è stato accertato con il lavoro degli artificieri che hanno messo in sicurezza l’area. Anche a Snigurivka, più a Sud in direzione di Kherson, gli occupanti prima di essere messi in fuga hanno minato il cimitero, e uno sminatore ucraino ci ha rimesso le gambe.
Non è un caso che proprio ieri il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha spiegato che l’invasione russa ha provocato «le più massicce violazioni dei diritti umani di questi tempi». Lo ha detto nel suo intervento al Consiglio per i diritti umani a Ginevra. «L’ufficio dell’alto commissario per i diritti umani – ha ricordato Guterres – ha documentato decine di casi di violenze sessuali collegate al conflitto a danni uomini, donne e ragazze”. Ieri la first lady ucraina Olena Zelenska ha chiesto alle Nazioni Unite l’istituzione di un tribunale speciale per i crimini commessi dai russi, in modo che «un’aggressione» come l’invasione del suo Paese «non possa accadere di nuovo».
A sorpresa a Kiev è giunta Janet Yellen, la segretaria al Tesoro Usa per confermare il sostegno dell’amministrazione americana nel corso di un incontro con il presidente Zelensky e il primo ministro Shmyhal. Kiev non ha ancora del tutto chiuso la porta ai “principi” elencati dalla Cina per un possibile avvio di negoziato. E gli Usa, pur bocciando il “piano”, confermano che Pechino non starebbe inviando armi a Mosca e non avrebbe intenzione di farlo. Segno che un spiraglio per continuare a parlarsi c’è ancora.
Nella notte tra domenica e ieri due ondate di attacchi con droni kamikaze di fabbricazione iraniana hanno messo a dura prova la contraerea. Nove velivoli sono stati abbattuti, ma altri hanno raggiunto infrastrutture civili, mettendo di nuovo in ginocchio il sistema elettrico di Odessa, nel sud, e di altre città non lontano da Kiev. Nell’Ovest, sulla direttrice tra la capitale e Leopoli un drone è caduto non lontano da alcune abitazioni e un soccorritore, intento a mettere a sicuro i civili è stato ucciso da una successiva esplosione. Potrebbe essersi trattato anche di una rappresaglia partita dalla Bielorussia, dove i partigiani anti-governativi hanno rivendicato la distruzione di un aereo militare russo di sorveglianza, colpito da un drone in un campo dell’aviazione nei pressi della capitale Minsk. L’aereo, un Beriev A-50, è in grado di seguire fino a 60 obiettivi alla volta. Aliaksandr Azarov, leader dell’organizzazione antigovernativa bielorussa “Bypol”, ha rivendicato l’attacco.