Bambini ad Aleppo
«Il lavoro della Caritas con i giovani in Siria è un passo coraggioso verso il futuro, per lavorare insieme senza distinzione, cristiani e musulmani». Parola di monsignor Antoine Audo, vescovo di Aleppo e presidente di Caritas Siria. Lo ha detto durante la presentazione oggi a Roma del dossier della Caritas italiana "Come fiori tra le macerie. Giovani e ragazzi che restano", dedicato proprio alle nuove generazioni che vivono tra distruzione, povertà e fame causate da sei anni di conflitto. E che spesso sono costretti all'alternativa tra emigrare oppure imbracciare un fucile.
In questo video pubblicato dalla Caritas, la drammatica storia di sei fratellini (il più piccolo di appena 9 mesi), rimasti senza genitori, incustoditi, finché un operatore si è preso cura di loro e li ha portati in un orfanotrofio.
Sono 200 i giovani impegnati nella Caritas in sei regioni della nazione mediorientale. Uno spaccato della vita dei loro coetanei è fornito dal dossier tematico, frutto di una serie di interviste condotte in loco, tra gennaio febbraio di quest'anno, su un campione di 132 giovani operatori (insegnanti, animatori, educatori catechisti) tra i 18 e i 34 anni, rappresentativo di circa 3mila coetanei. Con le Caritas italiana e siriana hanno collaborato Avsi, Engim, Vis e Patriarcato armeno.
Le macerie
La stragrande maggioranza (il 91,3%) dichiara che i giovani vivono in una famiglia con seri problemi economici per la mancanza di lavoro. Famiglie divise dal conflitto, con vedove e orfani, che hanno al loro interno comportamenti di devianza dovuti allo stress (dal fumo eccessivo ai comportamenti violenti, fino all'affiliazione a gruppi armati). Il 53,3% dichiara di aver subito violenze o torture. Insomma, tutti problemi legati a una situazione che vede l'80% delle persone senz'acqua e una vera e propria guerra condotta attraverso l'assenza di cibo.
«In 15 anni di lavoro nelle emergenze di tutto il mondo non ho mai visto una distruzione come quella di Aleppo», ha testimoniato Suzanna Tkalec di Caritas Internationalis, raccontando l'impegno dei volontari per salvare la vita alle persone nella parte Est della città, da poco liberata. Molte delle quali, soprattutto bambini e anziani, ridotte alla fame, a girovagare tra le macerie senza più niente.
Fiori di speranza
Quello della Siria è un caso che è «un coacervo di interessi, ua guerra che sta creando un deserto e distruggendo un popolo», ha detto Paolo Beccagato, vicedirettore della Caritas italiana prima di illustrare i dati del dossier. Dai quale emergono elementi di speranza. Il 74% dei giovani volontari vuole restare in Siria (dato che si riduce al 38% nella valutazione dell'intero universo giovanile). E si vuole impegnare per la pace. Attraverso attività sociali nei confronti dei coetanei (64%), come l'orientamento e le consapevolizzazione (30,3%) e le attività legate all'educazione religiosa (55,3%). Il 13,6% degli intervistati si dice coinvolto in attività di promozione della pace e della nonviolenza.
Le possibili vie d'uscita
La Siria va aiutata «a trovare una soluzione che porti pace e riconciliazione», ha detto monsignor Audo. «Di solito - ha osservato il presule - i media occidentali propongono come soluzione il cambio del presidente, ma la situazione è molto più complessa». Il vescovo ha denunciato la grande povertà e la situazione critica delle minoranze, come quella cristiana.
«Come è già accaduto in Iraq, ci sono fanatici che vogliono cacciare i cristiani e questo fa paura. Ma, poi, ci sono altri che spontaneamente vogliono andare via per raggiungere Paesi, dove ci sono cibo, possibilità di formazione e servizi sanitari. Questo atteggiamento è diffuso tra i giovani, ma noi, come Chiesa, cerchiamo di continuare la presenza in Siria».
Certo, non è facile: «Ogni volta che si registra una speranza di pace, riprendono le violenze, con attentati gravi. Chi vuole distruggere la Siria? Ci sono – ha avvertito il pastore – grandi interessi in gioco, sia a livello regionale sia internazionale». Mons. Audo si è detto, infine, contrario a una soluzione del conflitto che venga «dall’esterno» e anche «a una possibile divisione del Paese», perché «la Siria ha tutto per essere un Paese unito. Il desiderio di dividerla viene dall’esterno, non dalla cultura siriana».