Udienza dal Papa, nel giugno 2023, del presidente cubano Miguel Díaz-Canel - Vatican Media
È una decisione «unilaterale» e «sovrana», maturata «nello spirito del Giubileo della Speranza» in una serie di conversazioni con papa Francesco e comunicata a quest’ultimo «in una lettera inviata i primi giorni di gennaio». Con queste parole, il ministero degli Esteri cubano ha motivato la scelta di liberare 553 detenuti dalle proprie carceri. E, poche ore dopo, i primi 14 prigioneri sono stati effettivamente liberati, la maggior parte dei quali legati alle proteste antigovernative del 2021. «La notizia dell'annunciata graduale scarcerazione di 553 prigionieri cubani è un segno di grande speranza in questo inizio di Giubileo», ha detto il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, interpellato dai media vaticani mentre si trova in Francia. «È significativo - ha aggiunto il cardinale - che le autorità dell'Avana abbiano legato direttamente questa decisione all'appello di papa Francesco, il quale nella Bolla di indizione del Giubileo, e poi in diverse altre occasioni, ha chiesto gesti di clemenza come tante volte è accaduto in occasione dell'Anno Santo. Il 2024 - ha aggiunto Parolin - si era chiuso con la commutazione da parte del presidente degli Stati Uniti di decine di condanne a morte in ergastoli, e con la notizia che lo Zimbabwe ha abolito la pena capitale. Speriamo che questo 2025 prosegua in questa direzione e che le buone notizie si moltiplichino, soprattutto con la tregua per i tanti conflitti ancora in corso», ha concluso il cardinale.
L’annuncio dela liberazione dei detenuti politici è arrivato a poche ore dalla decisione del presidenteUsa Joe Biden di rimuovere l’isola dall’elenco dei Paesi che sostengono il terrorismo, a meno di una settimana dal termine del proprio mandato. Una misura attesa per quattro anni. Era stato il democratico Barack Obama, nel 2015, in seguito al ripristino delle relazioni diplomatiche con l’Avana, a rimuovere il Paese dalla lista nera.
La “Primavera” fra i due nemici storici del Continente, però, era stata stroncata dal gelo della stagione trumpiana e dalla sfilza di sanzioni imposte a partire dal 2017. L’ultima era stata – proprio a una manciata di giorni dall’uscita dalla Casa Bianca – la re-inclusione nella famigerata “black list”, accanto a Siria e Iran. L’arrivo di Joe Biden – vice di Obama e tra i promotori del “nuovo corso” – alla presidenza aveva suscitato grandi aspettative nell’isola e fra le generazioni più giovani dei cubano-americani, ansiose di approfittare delle opportunità di business offerte dalla caduta del “muro dei Caraibi”.
Il titolo di “nazione-terrorista” blocca di fatto ogni forma di cooperazione in ambito finanziario e anche umanitario. La svolta, però, non è arrivata. E l’isola è collassata sotto il peso delle restrizioni e della pandemia che, per un biennio, ha interrotto il turismo, principale fonte di entrate e di dollari. Il Pil s’è ridotto di più del 10 per cento in meno di cinque anni, provocando il malcontento da cui sono nate le dimostrazioni del 2021, schiacciate con il pugno di ferro. La scorsa estate, il presidente Miguel Díaz-Canel ha dichiarato lo stato di “economia di guerra” per far fronte alla più grave recessione dal crollo dell’Unione Sovietica. Come e più di allora, l’emergenza ha innescato un esodo senza precedenti nella storia del Paese. Tra il 2022 e il 2023 la popolazione è crollata del 18 per cento, oltre 2,5 milioni di persone sono fuggite. Un quinto di queste ha cercato di entrare illegalmente negli Usa, acuendo la crisi migratoria. Nemmeno questo, però, era riuscito a spingere l’Amministrazione democratica a una scossa, contrariamente alle promesse di lavorare per attenuare le cause dei flussi, si è proseguito sull’approccio del contenimento a oltranza. Almeno fino ad ora. In finale di partita, Biden ha dato una boccata d’ossigeno all’isola.
Una mossa probabilmente effimera data la scelta dei falchi Marco Rubio, come segretario di Stato, e Mauricio Claver-Carone, nominato inviato speciale per l’America Latina. Ci vorrà comunque tempo per capovolgere la decisione. E Cuba può respirare, almeno per un po’. L’annuncio del maxi-rilascio può essere considerato come un segnale di gradimento da parte del governo. Díaz-Canel ha ringraziato «tutti coloro che hanno contribuito alla svolta Usa». E ha scelto come interlocutore papa Francesco, a cui per primo ha comunicato per primo la liberazione. Un riconoscimento a colui che, nel pieno della terza guerra mondiale a pezzi, continua a promuovere la diplomazia della speranza.