Prima è stata la competizione serrata per il petrolio e numerosi altri prodotti minerari, necessaria per alimentare economie che per anni hanno viaggiato a tassi di crescita attorno alle due cifre. Ora Cina e India, in buona compagnia internazionale, si trovano a rastrellare terreni agricoli (e manodopera) per alimentare, insieme alle loro popolazioni miliardarie, anche settori trainanti delle esportazioni. L’Africa, continente dove i colossi asiatici sono da lungo tempo presenti, deve accettare la presenza di due potenze emergenti e campioni per lungo tempo del terzomondismo che ora sembrano diventate avanguardia del temuto ' neocolonialismo alimentare'. Non a caso questa presenza, per quanto riguarda l’uso dei suoli agricoli, è diventata forte, persino invadente, a partire dall’avvio della crisi alimentare del 2007- 2008 con i prezzi di alcuni prodotti saliti alle stelle nel giro di poche settimane ( il riso anche del 150 per cento) e risulta compatibile con la disponibilità di terreni e le necessità di molti Paesi africani che abbisognano di capitali per sostenere lo sviluppo, beneficiando insieme di conoscenze e di infrastrutture che accompagnano gli investimenti asiatici. Nel 2006 l’Africa subsahariana è salita al terzo posto tra le regioni del mondo impegnate a creare condizioni favorevoli a investimenti e imprese stranieri e le esportazioni complessive dall’Africa verso l’Asia sono triplicate negli ultimi cinque anni, facendone il terzo partner commerciale del continente, con il 27 per cento del totale. Gli investimenti diretti di Cina e India sono cresciuti in modo esponenziale, come pure gli accordi di cooperazione tecnologica e culturale. Tuttavia, come evidenzia il dato dell’export africano verso l’Asia ( 1,6 per cento del totale delle importazioni in quel continente), si tratta di un rapporto assolutamente sbilanciato. « Cina e India sanno perfettamente cosa vogliono dall’Africa, ma i Paesi africani sono ancora lontani dallo sviluppare una comune cornice su come negoziare con questi due colossi da una posizione più forte e più stabile » , spiega Harry Broadman, consulente economico per l’Africa della Banca Mondiale . La Cina, che da decenni fornisce sostegno bilaterale a varie nazioni africane, integrato in progetti Fao attraverso una sua specifica agenzia finanziata con 10 milioni di dollari l’anno, è il Paese che sta investendo maggiormente nel Continente in questi ultimi anni, con progetti di durata anche cinquantennale per un valore complessivo attuale di 5 miliardi di dollari. Una parte crescente si va river- sando sui terreni agricoli, in parte perché di fatto Pechino controlla già importanti fette delle produzioni energetiche locali ( Sudan e Zimbabwe forniscono il 15 per cento del suo fabbisogno petrolifero), in parte per le sue crescenti necessità alimentari e commerciali. Allo stato attuale, l’interesse cinese sui terreni e sulle produzione agricole è un’appendice della sua ricerca insaziabile di materie prime, ma va crescendo l’interesse per i prodotti commestibili. L’India, invece, vede nelle immensità dell’Africa la possibilità di estendere le sue colture. Secondo diversi economisti, contrariamente alla Cina che deve fare i conti con una crescente scarsità di acqua per l’irrigazione oltre che di suolo, l’India non avrebbe la stringente necessità di cercare terreni coltivabili altrove. Tuttavia il governo indiano e diverse aziende hanno intensificato la loro espansione all’estero. Lo scopo è quello di utilizzare sempre più terreni in patria per produzioni di alto valore aggiunto, in parte per il crescente mercato interno di generi di non primaria necessità, in parte per destinarli all’esportazione. Lo scorso anno almeno una decina di aziende, sponsorizzate dal governo di Nuova Delhi, hanno investito in Etiopia circa 2 miliardi di dollari per affittare terreni e installare gli impianti utili alla produzione di tè, zucchero e molte altre coltivazioni. Una necessità per il colosso indiano, Paese-tipo tra quelli in cui l’aumento dei redditi accresce la domanda di cibo a un ritmo preoccupante. Oggi la produzione risicola e granaria dell’India, 230 milioni di tonnellate, è sufficiente ma si prevede che nel 2020 la richiesta salirà fino a 250 milioni di tonnellate. Necessità in competizione, quelle tra i due colossi asiatici dalle popolazioni miliardarie; soprattutto investimenti redditizi nelle intenzioni della Corea del Sud, terzo incomodo che li segue a molte lunghezze. La piccola nazione dell’Estremo Oriente ha investito massicciamente su produzione industriali e su prodotti alimentari. In Sudan, ad esempio, dove lo scorso anno i sudcoreani hanno ottenuto 690mila ettari da destinare alla produzione di frumento. Brusca frenata, invece, in Madagascar, dove il controverso accordo tra Marc Ravalomanana e il colosso multinazionale Daewoo per l’affitto di terreni ( 1,3 milioni di ettari) equivalenti alla metà della superficie coltivabile del Paese, ha contribuito alla caduta del presidente lo scorso marzo. La bandiera cinese sventola in una strada di Khartoum. Il Sudan è uno dei Paesi dove è più massiccia la penetrazione di potenze non africane