Giovani durante le proteste contro il presidente Kabila a Kinshasa. In Congo la tensione è sempre altissima (Ansa)
Il copione è stato il medesimo. Le principali chiese di Kinshasa e delle altre città sono state circondate dalla polizia. Da là, domenica, al termine della Messa, sarebbe dovuta uscire buona parte dei partecipanti alla manifestazione per chiedere il ritiro del presidente Joseph Kabila. Non hanno, però, potuto farlo. Le autorità li hanno stretti in una morsa: chi ha cercato di forzare il “blocco” è stato fermato con colpi di manganelli, lanci di lacrimogeni e, perfino, proiettili. Almeno due persone sono state uccise, secondo quanto denunciato dalla Conferenza episcopale del Congo (Cenco), nella repressione della marcia anti-Kabila. La terza da due mesi.
Come le altre, anche questa è finita nel sangue. Perché nonostante gli impegni – scritti nero su bianco negli “accordi di San Silvestro” del 2016, ottenuti grazie alla mediazione dei vescovi, che sancivano il ritiro per l’anno successivo – il presidente, al potere da diciassette anni, non è disposto a farsi da parte. Kabila – che ha progressivamente ridotto le libertà democratiche – è determinato a presentarsi alle prossime elezioni, previste per il 23 dicembre prossimo, nonostante le richieste di democrazia sempre più forti da parte della società civile. Istanze di cui il Comitato laico di collegamento, collettivo di intellettuali vicino alla Chiesa cattolica, ha scelto di farsi interprete, dato che gli esponenti dell’opposizione sono in carcere o in esilio. Attraverso la lotta non violenta. A cui, però, le forze di sicurezza hanno risposto con la brutalità. Già sabato, il governatore di Kinshasa, Andre Kimbuta, aveva vietato la dimostrazione con il pretesto che non erano state date adeguate informazioni sul percorso. Poco dopo, un gruppo di giovani fedelissimi del leader aveva fatto irruzione nella cattedrale e aveva deciso di occuparla. Le intimidazioni non hanno fermato, però, il Comitato e i suoi sostenitori, che hanno deciso di scendere in piazza. La reazione della polizia non s’è fatta attendere. Gli episodi più gravi si sono verificati a Saint Benoit, un sobborgo di Kinshasa, e a Mbamdaka, dove due dimostranti sono stati colpiti e uccisi. Diverse decine sono rimasti feriti. L’Onu ha parlato di almeno 47 colpiti e un centinaio di arrestati. Il capo della polizia, Pierrot Mwanamputu, ha, però, negato: secondo quest’ultimo non ci sarebbero state vittime e i feriti sarebbero stati solo tre.
La Repubblica democratica del Congo sembra, dunque, prigioniera di una drammatica crisi dagli esiti imprevedibili e imprevisti. Papa Francesco ha espresso forte preoccupazione per la situazione del Paese, a cui ha dedicato – insieme a Sud Sudan e Siria – la Giornata di digiuno e preghiera di venerdì scorso. Il governo, però, sembra arroccarsi sempre più su una posizione di chiusura. La tensione favorisce il moltiplicarsi della violenza. In particolare nelle “zone sensibili”. Come il Nord Kivu, dove ieri, a Kagabi, un gruppo armato ha attacco un mercato vicino alla chiesa: almeno dieci persone sono state trucidate. Gli aggressori, poi, hanno fatto irruzione nella parrocchia ed ucciso un sacerdote, di cui non si conosce l’identità.