venerdì 16 giugno 2017
Per anni detenuto a campo Bucca in Iraq, ha poi fondato il Daesh dopo aver lasciato al-Qaeda. A fine mese l'anniversario della proclamazione nella moschea di Mosul (dove ora si comabatte) del Daesh
Il califfo con il Rolex: al polso destro un modello non recentissimo dell'orologio svizzero

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I precedenti ci insegnano che gli annunci di morte dei leader jihadisti sono sempre da prendere con le molle. Nel caso di Abu Bakr al-Baghdadi serve maggiore cautela ancora, dal momento che la sua messa “fuori gioco” è stata data più volte negli ultimi due anni, talvolta con dovizia di particolari sulle cure mediche che egli riceveva nel suo covo segreto. Mentre si avvicina il terzo anniversario della restaurazione del Califfato (il prossimo 29 giugno), le truppe irachene moltiplicano gli sforzi per espugnare la moschea al-Nouri di Mosul in cui Baghdadi ha pronunciato, il 4 luglio di tre anni fa, il suo unico discorso in pubblico da “califfo” dei musulmani. Ibrahim al-Badri (questo il suo vero nome) è nato 46 anni fa a Samarra, sulla strada che porta da Baghdad a Tikrit.

Avrebbe conseguito una laurea in Scienze islamiche all’Università di Baghdad prima di servire come imam in alcune moschee della capitale irachena e di Falluja. Nel giugno 2004 viene rinchiuso nella prigione americana di Camp Bucca, nel sud dell’Iraq. Si tratta di un periodo oscuro dalle vita di Baghdadi. Si ignora persino la durata esatta della sua detenzione (appena un anno secondo alcune fonti (2004-2005), quattro anni secondo altre). Di sicuro, il campo ha fatto da incubatore del futuro Daesh. Le testimonianze degli ex detenuti lo ricordano come un «aspirante capo» apparentemente «tranquillo», chiamato addirittura dagli ufficiali americani a «dirimere i conflitti tra i reclusi», proprio per i suoi modi «concilianti». Per gli americani Camp Bucca doveva essere l’anti Abu Ghraib, tristemente noto per lo scandalo degli abusi sui prigionieri, per cui non mancavano le opportunità di discussioni ideologiche tra compagni di cella.

Uscito dal carcere, al-Baghdadi sapeva già dove reclutare il suo staff. Si ritiene, infatti, che molti dei quadri del Daesh siano degli ex ufficiali di Saddam Hussein unitisi alla causa jihadista nella prigione di Bucca. Egli crea inizialmente una propria milizia denominata “Esercito sunnita” che opera nelle zone di Samarra e Diyala. Il gruppo entra successivamente a fare parte della formazione “Stato islamico dell’Iraq”, allora considerata la filiale di al-Qaeda in Iraq. L’occasione per Abu Bakr di scalare il vertice dell’organizzazione si presenta, nell’aprile 2010, in seguito alla contemporanea scomparsa dei suoi due superiori, Abu Omar al-Baghdadi e Abu Ayyub al-Masri. La “stella nascente di al-Qaeda”, come lo ha definirà la rivista Time nel dicembre 2013, era già famoso per l’efferatezza dei suoi gesti. Nel maggio del 2011, alla morte di Osama Benladen, ha giurato di vendicare la scomparsa del terrorista mondiale con cento attentati contro americani, governativi e sciiti iracheni. Paradossalmente, è stata la sua decisione di estendere la sua azione alla Siria, con la creazione dello “Stato islamico in Iraq e nel Levante” (Daesh), a spaccare il jihadismo mondiale in due fronti opposti, trascinando molti movimenti islamici in piccole guerre o scissioni interne.

Per fermare gli scontri tra il Daesh e al-Nusra in Siria, ci è voluto persino l’intervento di Ayman al-Zawahiri, il nuovo leader di al-Qaeda, il quale ha sollecitato, nel novembre 2013, Abu Bakr a tornare a lavorare “solo in Iraq”. Invano. Abu Bakr al-Baghdadi sarà in questi tre anni il capo indiscusso del jihad, non solo in Siria o in Iraq, ma in mezzo mondo. Eppure, la sua scelta di rimanere dietro le quinte rimane un mistero, che le debite misure di sicurezza non riescono da sole a spiegare. Con tutte le ripercussioni negative che ne possono derivare, dal momento che la figura di un califfo mal si concilia con quella di un leader fantasma. La sua morte, esattamente come la prossima liberazione di Mosul e di Raqqa, aprirà solo un nuovo capitolo nella storia del jihad.

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