Proteste antigovernative in Iraq (Ansa)
Dalla maglietta calata sul viso per non respirare i gas lacrimogeni, spuntano solo gli occhi, neri come la brace: «Tutto ciò che vogliamo sono quattro cose: lavoro, acqua, elettricità e sicurezza. Questo è tutto ciò che vogliamo», dice. Ali Mohammed, 16 anni, è uno delle migliaia di manifestanti che ieri sono scesi in strada a Baghdad. Sfidando la (dura) reazione delle forze del- l’ordine. Sfidando i gas lacrimogeni, le cariche, i proiettili di gomma. E quelli veri: alla fine, si sono contate 41 vittime (undici in un incendio) e 2mila feriti. Portando il bilancio della rivolta inizia due settimana fa a più di 170 morti.
A centinaia di chilometri, nell’altro epicentro della protesta che sta infiammando il Medio Oriente, i manifestanti che sedevano nella centralissima piazza Riad Solh a Beirut, si sono visti assalire da uomini armati di pietre e bastoni. Esponenti di Hezbollah. La protesta in Iraq e Libano parla la stessa “lingua”. Fine della corruzione. Dimissioni di governi (di Adel Abdul Mahdi in Iraq, di Saad Hariri in Libano) incapaci di costruire un’alternativa attorno alle domande della piazza. Rivitalizzare economie desertificate dal malgoverno e dalle guerre, sfiancate dal carovita. «Vogliamo una buona vita», dice Mahmoud al-Shummari, 51 anni, uno dei migliaia che si sono riuniti in Piazza Tahrir a Baghdad.
Sullo sfondo, l’ombra minacciosa dell’Iran. Dall’altra parte della barricata, la parola più ricorrente, lo spauracchio più agitato è quello del “caos”. L’ayatollah Ali Sistani, massima autorità religiosa sciita in Iraq, ha chiesto ai manifestanti e alle forze dell’ordine di usare «moderazione » per evitare «il caos». Bisogna evitare, ha proseguito, «la violenza e la risposta alla violenza, perché caos e distruzione creeranno uno spazio per altre ingerenze straniere e faranno dell’Iraq un campo di battaglia per i regolamenti di conti fra le forze internazionali e regionali».
Sull’altra scena, quella libanese, Hasan Nasrallah, il leader degli Hezbollah, finiti nel mirino della protesta, non ha esitato a evocare lo spettro della guerra civile. «Il vuoto istituzionale porta al caos e non si esclude che possa esserci la guerra civile», ha detto. Immancabile anche il riferimento a non meglio precisate entità – «ambasciate» e «stranieri» – che, a dire il leader degli Hezbollah, finanzierebbero la protesa, in corso ormai da otto giorni. «Questo movimento di protesta ha perso di spontaneità e sembra che sia manipolato da alcuni partiti e forze politiche del Paese».
Nasrallah ha accusato i Paesi del Golfo, gli Stati Uniti e Israele di voler fomentare la situazione in Libano: «Vogliono portare il paese verso il caos e il crollo». Quindi ha dettato la “linea” politica: «Non accettiamo la caduta della presidenza nè le dimissioni del governo e, in queste condizioni, respingiamo l’idea di elezioni parlamentari anticipate». A Baghdad i manifestanti si sono concentrati nel centro della capitale. «Siamo arrivati nella Green Zone, quella che ospita uffici governativi e ambasciate – ha detto alla Reuters Hussein al-Ojaili, 28 anni –. Ma eravamo preoccupati di andare oltre l’ambasciata iraniana perché qualcuno ha detto di avere visto dei cecchini». Le violenze sono scoppiate quando le forze dell’ordine hanno provato a rompere l’“assedio” dei manifestanti. Un uomo è stato ucciso dopo essere stato colpito in faccia da una bombo-letta di gas lacrimogeno. A Nasiriyah migliaia di persone si sono radunate ingaggiando violenti scontri con le forze dell’ordine e dando fuoco alla sede del governo provinciale.