Rompe di nuovo il silenzio, con una intervista ai media belgi, Bashar al Assad che definisce «promettenti» le dichiarazioni di Donald Trump sulla «priorità di combattere il terrorismo». La possibile «cooperazione tra Usa e Russia », ha aggiunto Assad, potrebbe essere «positiva per il resto del mondo», Siria compresa. Una apertura al nuovo asse fra Mosca e Washington, ma con prudenza: «È ancora presto per aspettarsi risultati pratici».
Con i colloqui di pace che potrebbero riprendere fra pochi giorni a Ginevra, Assad afferma di essere pronto a farsi da parte se «sarà eletto un nuovo presidente», mentre è una «coincidenza » che lui sia succeduto a suo padre nella guida del Paese, mentre il cessate il fuoco entrato in vigore in Siria su iniziativa di Russia e Turchia «non è fallito» ed è naturale che «ci siano violazioni». Il presidente di Damasco sembra non escludere sviluppi negoziali, ma con significativi distinguo: l’Ue non può avere un ruolo nella futura ricostruzione della Siria perché «sostiene i terroristi in Siria fin dall’inizio sotto diverse coperture», mentre un eventuale processo contro i crimini di guerra alla Corte internazionale dell’Aja non avrebbe senso perché «sappiamo tutti che le istituzioni Onu non sono imparziali».
L’intervista nel giorno in cui un nuovo rapporto di 'Amnesty International' mette sotto accusa il regime di Assad per una campagna di impiccagioni segrete nel carcere di Saidnaya dove, afferma l’organizzazione umanitaria, dal 2011 al 2015 si sono verificate almeno 13mila vittime, in maggioranza civili e presunti oppositori del regime. Una pratica tenuta segreta ma «vi sono forti timori che queste esecuzioni si verifichino ancora oggi». Numerosissimi detenuti – afferma il rapporto intitolato «Il mattatoio di esseri umani: impiccagioni di massa e sterminio nella prigione di Saidnaya» – sono deceduti anche «a seguito delle intenzionali politiche di sterminio delle autorità siriane, fatte di torture reiterate e del sistematico diniego di cibo, acqua, medicinali e cure mediche ».
A queste 13mila esecuzioni extragiudiziali, mentre un rapporto di 'Amnesty' dell’agosto 2016 aveva stimato più di 17mila le morti in carcere a causa della tortura e delle sevizie. Le impiccagioni, secondo le testimonianze raccolte attraverso le interviste a 84 testimoni (ex detenuti, giudici, avvocati e anche ex secondini e funzionari del carcere »), avvenivano una o due volte la settimana, di solito il lunedì e il mercoledì, di notte. I detenuti scelti per l’esecuzione venivano, senza nessun preavviso, portati davanti a un tribunale militare siriano che emetteva, nel giro di pochissimi minuti, condanne arbitrarie senza nessuna possibilità di difesa.
Le esecuzioni, per impiccagione, avvenivano in un edificio della prigione: «Li lasciavano appesi per 10 minuti. Alcuni non morivano, erano troppo leggeri. Allora li tiravano giù fino a quando non gli si spezzava il collo». In una sola notte si potevano contare fino a 50 impiccagioni. «I prossimi colloqui di Ginevra non possono ignorare queste conclusioni e devono porre nell’agenda dei lavori la fine delle atrocità nelle prigioni governative siriane», ha dichiarato Lynn Maalouf, vicedirettrice delle ricerche dell’ufficio regionale di Beirut di Amnesty International.
Immediata la smentita da parte del governo di Damasco. In un comunicato affidato all'agenzia governativa “Sana”, il ministero della Giustizia afferma che «le notizie circolate sui media» e basate sul rapporto diffuso ieri dall'organizzazione internazionale basata a Londra «sono prive di ogni fondamento» e sono «mirate a rovinare la reputazione della Siria a livello internazionale».