lunedì 20 maggio 2024
Giovanni Merlo, direttore di Ledha: l'istituzionalizzazione è una pratica discriminatoria nei confronti delle persone con disabilità. Devono invece poter scegliere come e con chi vivere
«Mio figlio adulto disabile. Un futuro segnato?»
COMMENTA E CONDIVIDI

«Ogni mattina in Italia almeno un assistente sociale si sveglia e si attacca al telefono per cercare un posto in un servizio residenziale per una persona con disabilità rimasta priva del sostegno familiare». Giovanni Merlo, direttore di Ledha, Lega per i diritti delle persone con disabilità, ha acceso provocatoriamente i riflettori sulla deistituzionalizzazione nel corso del Convegno organizzato da Erickson “Sono adulto” su disabilità, diritto alla scelta e progetto di vita, che si è tenuto lo scorso fine settimana a Trento.

Parlando di istituzionalizzazione si riferisce alla mancanza di libertà di scelta della persona con disabilità e quindi anche all’impossibilità di fatto di decidere dove si vuole vivere. «Questo capita tutti i giorni ed è considerato normale, fa parte del lavoro – ha chiarito -. Nessuno si scandalizza, né vengono attuati provvedimenti. È l’esito dell’impostazione del nostro modello di welfare sociale per la disabilità di stampo chiaramente familista».

Come ha spiegato Merlo, il nostro modello di welfare per la disabilità nella sua modalità di applicazione dell’articolo 38 della Costituzione prevede sostanzialmente che le persone con disabilità che richiedono sostegno vivano, finché possono, assistite dai loro familiari e quando i familiari non ce la fanno più o non ci sono più vengano inserite in un servizio residenziale. Nel settembre 2022 il Comitato sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite nelle linee guida ha, però, stabilito che l’istituzionalizzazione è una pratica discriminatoria nei confronti delle persone con disabilità, contraria all’articolo 5 della Convenzione.

«E noi da che parte stiamo? Possiamo continuare così? – si chiede Merlo -. Questa contraddizione dev’essere l’occasione per porsi una domanda: a che cosa servono i servizi diurni e i servizi residenziali? È una domanda che ci poniamo molto poco, ci chiediamo come possano essere pagati, cosa debbano fare, ma quali obiettivi debbano conseguire non è oggetto di discussione. Questo insieme di servizi molto diffuso è nato per contrastare l’istituzionalizzazione negli anni ’80 e ’90 per offrire una risposta alla scelta compiuta dalle famiglie di non mandare i figli alle scuole speciali e quindi in istituto. In questa dimenticanza è passato il concetto che la funzione dei servizi sia soltanto quella di accogliere».

Merlo precisa che i Centri diurni per persone con disabilità hanno una funzione positiva perché danno assistenza, ma guarda oltre. «Nel 2006 la Convenzione Onu delle persone con disabilità all’articolo 19 ci ha detto che non è questa la funzione dei servizi – sottolinea -. Perché le persone con disabilità devono poter accedere a una serie di servizi diurni o residenziali che consentano loro di vivere e inserirsi nella società, impedire che siano isolate o vittime di segregazione». Oggi quando si parla di istituzionalizzazione si pensa anche alla privazione della possibilità di poter scegliere dove e con chi vivere. Se per il momento la possibilità di avviare in Italia un progetto di deistituzionalizzazione è tramontato, c’è però la possibilità di cercare di far riemergere questo concetto.

«Dobbiamo riprendere a discutere per capire come i servizi possano e debbano essere uno strumento a disposizione delle persone con disabilità per l’elaborazione e la realizzazione del loro progetto di vita – ha concluso rivolgendosi a esperti ed operatori -. Possiamo essere protagonisti nel processo di emancipazione delle persone con disabilità».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: