martedì 15 ottobre 2024
Nella riserva di Monte Arcosu, vicino a Cagliari, l’area del Wwf unisce ospitalità, possibilità di riscatto e difesa dell’ambiente grazie al modello vincente di Domus de Luna
In Sardegna c’è un’oasi di natura e inclusione

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Ambiente, inclusione sociale, rete. Nella “Oasi Wwf del Cervo e della Luna”, nella riserva di Monte Arcosu, cuore del parco regionale di Gutturu Mannu, a una ventina di chilometri da Cagliari, si porta avanti un modello vincente grazie a Domus de Luna, che da oltre vent’anni è in prima linea in progetti di accoglienza e riscatto. «Esso unisce tre elementi fondamentali – spiega il fondatore Ugo Bressanello –: il coraggio di innovare, la capacità di creare ponti e quella di lavorare in rete, grazie a una gestione partecipata e trasparente». Una trentina le realtà coinvolte – tra pubblico e privato sociale – accomunate dalla capacità di guardare a uno sviluppo sostenibile nel lungo termine. Grazie a un investimento complessivo di 8 milioni di euro – provenienti da Italia Economia Sociale, misura gestita da Invitalia, e da altre realtà tra cui Fondazione Con il Sud, Con i Bambini Impresa sociale, Fondazione di Sardegna, Enel Cuore, Fondazione San Zeno, Fondazione Vismara – inizieranno, tra gli altri interventi, i lavori per la ristrutturazione delle camere del “Rifugio dei Buoni e Cattivi”, attivo da un anno, che finalmente permetterà ai turisti il pernottamento, e per la creazione di un secondo albergo rurale.

La prima presenza di Domus de Luna nell’Oasi risale a una decina di anni fa, quando gli operatori hanno iniziato ad accompagnarvi i detenuti: qui questi ultimi conoscono una solitudine diversa da quella della cella, generativa, capace di favorire la rinascita dell’uomo, oltre che della natura. Così negli anni il progetto prende forma: in questi 3.650 ettari di area protetta, che hanno permesso la salvaguardia del cervo sardo, le fragilità diventano valore e fonte di energia. Un possibile volano di sviluppo per l’intero territorio, che coniuga la sostenibilità socio-ambientale e il reinserimento socio-lavorativo di persone che qui trovano un lavoro, ma soprattutto ritrovano dignità e prospettive per il futuro. A ciò si aggiunge l’azione educativa, con gli oltre 3.000 studenti che solo l’anno scorso hanno visitato l’Oasi.

Antonio, 51 anni, è uno dei primi tirocinanti, arrivati nell’Oasi nel gennaio 2021. Ora il tirocinio si è trasformato in un contratto di lavoro: si occupa della sistemazione dei sentieri (ne sono già stati revisionati 80 chilometri), della manutenzione delle strutture, del censimento del cervo sardo, del barbecue per i visitatori. «Sono cresciuto in queste montagne. In passato ero un giardiniere, amo lavorare all’aria aperta. Qui ho trovato persone che mi hanno dato fiducia: mi sono sentito valorizzato nelle mie capacità».

Yari il mestiere di pastore l’ha imparato fin da bambino, e ha portato le sue competenze nell’Oasi, dove è arrivato nel settembre 2021: «Lavorare con gli animali richiede molto impegno ma al tempo stesso dà tanta soddisfazione. Ci prendiamo cura di loro, li proteggiamo dal bracconaggio. Prima di arrivare qui temevo che non avrei mai trovato lavoro, adesso ho una nuova vita. Mi sono sentito accolto, accettato senza pregiudizi». Francesca dallo scorso gennaio sta svolgendo il suo tirocinio: «Gli animali mi trasmettono gioia, tranquillità; quando me ne vado da qui mi viene la malinconia. Mi sento benvoluta, compresa: per me questa è una seconda famiglia».

«Attualmente sono una dozzina i ragazzi impegnati nell’Oasi – spiega Pietro Benedetti, responsabile dell’area inserimenti socio-lavorativi –, provengono da comunità terapeutiche, dalla Casa circondariale di Uta, o ci sono stati segnalati dai servizi territoriali: persone che incontrerebbero maggiori difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. Facciamo un progetto individualizzato che permetta a ciascuno di raggiungere l’autonomia. Operiamo in rete con gli altri servizi del territorio, tra cui Uepe, Ser.D, il Centro di salute mentale». Alcuni di loro servono al rifugio, aperto nei weekend e gestito in collaborazione con la Locanda e con il Circolo dei “Buoni e Cattivi”. A tavola i visitatori mangiano il cibo prodotto nella “Fattoria molto sociale”, un’altra delle tante opere di Domus de Luna.

Qui lavorano una decina di ragazzi giunti da comunità terapeutiche, in misure alternative o provenienti da altre situazioni di disagio; tra loro, Simone, arrivato l’anno scorso. «Abbiamo bonificato il terreno, creato gli impianti di irrigazione, potato gli olivi, piantato il rosmarino, pomodori, melanzane e tutto il resto». I prodotti, sani e di qualità, sono frutto di un lavoro di squadra: «Già il nome – sottolinea uno dei tutor, Giambattista Aledda – mostra che qui si lavora insieme. Con i nostri prodotti riforniamo le varie realtà di Domus de Luna, e questo fa crescere l’unione». Da poco è stata creata la Cooperativa agricola sociale, si è in attesa della certificazione biologica.

Un modello di economia in cui la circolarità è intesa in termini sia di produzione che di competenze, e in cui i prodotti nascono dalla cura delle persone che ci lavorano. Nei giorni scorsi si sono raccolti i frutti della prima piantumazione. «Sono riuscito a fare cose belle, e ciò che produco è il frutto del mio cambiamento – aggiunge Simone –. Pensavo di non farcela, è una sorta di riscatto. Ho trovato la motivazione dentro di me, mi sono affidato a persone che mi hanno dato fiducia, mi hanno aiutato a riconoscere il mio valore in ciò che faccio. Auguro a tutti coloro che hanno avuto un percorso come il mio di puntare sempre in alto per cambiare la propria vita, perché nulla è perduto».

© riproduzione riservata

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