Vanessa Pallucchi - Imagoeconomica
Prossimità, universalismo e inclusività: su questi valori fondamentali deve poggiare un nuovo sistema di welfare che sia in grado di promuovere la coesione sociale, contrastare le recenti forme di povertà e ridurre le diseguaglianze. E soprattutto saper affrontare le emergenze sanitarie economiche e sociali come quelle che negli ultimi tre anni hanno messo a dura prova il Paese. Un processo di trasformazione non più rinviabile, chiesto dal Forum Terzo Settore con un manifesto pubblicato a gennaio, che passa anche da un maggiore ascolto e coinvolgimento delle realtà sociali attraverso gli strumenti dell’amministrazione condivisa, valorizzati dalla riforma del Terzo settore, e dalla definizione di un quadro fiscale che permetta loro di operare serenamente. La portavoce del Forum Vanessa Pallucchi, che è anche vicepresidente nazionale di Legambiente, è convinta che il modello italiano del Terzo Settore possa fare da traino in Europa. A patto che non venga vessato da un’eccessiva burocratizzazione che rischia di penalizzare soprattutto le piccole realtà alle prese con una serie di adempimenti, e quindi anche di costi, difficili da sopportare. La riforma del Terzo Settore prevede un sistema tributario che riguarda sia gli enti qualificati come commerciali (imprese sociali) che quelli qualificati come non commerciali. Sono poi individuati ambiti di decommercializzazione in base alle attività svolte. Il confronto con il governo ha consentito di smussare alcune criticità e di considerare, ad esempio, non commerciali anche gli enti che svolgono attività miste (a patto che le entrate delle attività commerciali superino al massi-mo del 6% le altre e per non più di 3 anni di seguito), di accedere a un regime forfettario per le associazioni e le organizzazioni di volontariato che hanno entrate inferiori a 130mila euro e di prevedere minori imposte su atti e convenzioni con la Pa.
La riforma del Terzo Settore dopo sei anni non si è ancora conclusa, quali parti mancano all’appello?
Le norme a carattere fiscale, a lungo dibattute, devono ancora essere approvate a livello europeo e ci auguriamo che l’autorizzazione arrivi quanto prima. Queste norme si basano sulla distinzione tra attività commerciali e non, ma spesso il confine è molto labile. In generale il Terzo settore, anche quando produce utili, li riutilizza per fini sociali, per questo vogliamo sostenere un sistema che anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha elogiato, definendolo come un pilastro dello Stato. Ed è proprio così che si sentiamo.
Come è articolato il Registro Unico (RUNTS)?
Sono previste più tipologie di enti: le associazioni di promozione sociale, le organizzazioni di volontariato, le imprese sociali, gli enti filantropici e altre ancora. E’ stato costituito un registro unico del Terzo Settore nel quale stanno confluendo i diversi registri regionali e al quale hanno già aderito oltre 90mila realtà. Altre 20.000 sono in fase di integrazione documentale. Inoltre circa 22mila Onlus devono ancora aderire e stanno aspettando di avere il quadro sulla tassazione per decidere quale qualifica assumere. Con regimi fiscali troppo complessi e penalizzanti si rischia la demotivazione a entrare nel registro, così come si rischia una burocratizzazione eccessiva in nome di un processo di controllo e di trasparenza che pure è condivisibile, perché consente anche di rendicontare l’impatto sociale che hanno le nostre attività.
Tra i conti in sospeso c’è anche la questione dell’Iva, la cui introduzione è legata a una procedura di infrazione Ue, e dell’Irap. Non profit penalizzato?
La questione dell’IVA come prevista dalla penultima legge di bilancio rischia di avere pesanti conseguenze. L’Iva per le piccole realtà (con un bilancio inferiore a 65mila euro) è passata dal regime di esclusione a quello di esenzione, il che vuol dire che pur non dovendo pagare la tassa, si è soggetti a una serie di adempimenti burocratici. Abbiamo ottenuto un rinvio della norma che dal 2022 è slittata al 2024 ma noi chiediamo la sua abolizione: non porta nuove entrate per lo Stato ma comporta per gli enti vincoli e costi sproporzionati, una inutile complicazione. La questione dell’Iva fa capire come in Europa si faccia fatica a comprendere le peculiarità dei soggetti del Terzo Settore, che non possono essere trattati come le imprese profit. Manca soprattutto un’azione culturale che definisca il perimetro dell’economia sociale entro cui possano muoversi politiche di sostegno significative, sia di tipo fiscale sia più specifiche come quelle per l’integrazione dei lavoratori fragili. L’Italia ha le carte in regola per proporsi come esempio. Possiamo dire che il nostro Terzo Settore è un modello virtuoso del made in Italy e proprio per questo per tutelarlo c’è bisogno di un regime diverso rispetto ai modelli organizzativi del profit. Un altro tavolo aperto è quello dell’Irap: una tassa che è stata eliminata anche per le imprese individuali e familiari ma non per il Terzo settore, per motivi non comprensibili.
La pandemia ha evidenziato le carenze del sistema socio-sanitario, soprattutto la mancanza di servizi di prossimità, cosa fare per colmare questa mancanza?
La prossimità è una delle caratteristiche essenziali del Terzo Settore: cura l’interesse generale della società, ha una grande valenza sociale. Durante la pandemia sono stati i volontari a portare la spesa, ad accompagnare le persone in ospedale, a dare assistenza anche da remoto a chi si trovava isolato. Tra le proposte del Forum c’è la messa in rete di servizi sociali integrati fra cui anche quella degli hub di quartiere da realizzare nelle periferie: luoghi di incontro per vari servizi, dalle scuole agli ambulatori medici all’aggregazione, indispensabili in un momento in cui è stato decostruito il sistema pubblico socio-sanitario. Il vero problema di oggi è la solitudine che non riguarda soltanto gli anziani ma colpisce soprattutto i giovani, c’è un profondo senso di isolamento. Basti pensare al fenomeno della droga: è diventato più difficile anche accedere ai Sert sul territorio, c’è stato un forte disinvestimento economico del pubblico. Se guardiamo all’accoglienza dei profughi arrivati dall’Ucraina, anche in questo caso i primi a mobilitarsi sono stati i volontari.
Al governo Meloni che si trova a dover completare un percorso avviato da altri quali richieste fate? Avete avuto già dei contatti?
Le richieste al governo, con il quale stiamo avendo i primi incontri, sono innanzitutto quella di completare la riforma del Terzo settore per risolvere i temi della fiscalità, rilanciare il welfare ragionando su processi di coesione sociale, rafforzare il coinvolgimento del Terzo settore nell’attuazione del Pnrr. Va promosso e applicato il principio dell’amministrazione condivisa: l’articolo 55 del Codice del Terzo settore prevede infatti che gli enti partecipino da protagonisti insieme al pubblico per ricostruire le politiche pubbliche, a partire dal welfare, attraverso la co-programmazione, la co-progettazione e le convenzioni. Senza il Terzo Settore verrebbero a mancare molti servizi sul territorio eppure questo mondo non è stato tenuto in considerazione a fronte dell’aumento delle bollette, tanto che non sono state previste misure di sostegno adeguate. Ma il Terzo settore non vive d’aria. Questa collaborazione paritaria deve essere adottata da subito, a partire dalla riforma sulla non autosufficienza e del welfare in generale, sul quale occorre cambiare il paradigma e incentrare gli invertenti sull’autonomia delle persone: servizi per renderle autonomi, non soltanto assistenza calata dall’alto.