C’è un posto in Italia dove il “Dopo di noi”, l’assillo con cui convivono i genitori di figli disabili, non esiste. Già, perché i disabili che vivono nel Borgo sociale di Marzano Appio, paese di 3mila abitanti del Casertano, hanno già lasciato la casa in cui vivevano con i genitori e hanno un lavoro: hanno, insomma, una vita simile a quella di tutti gli altri. È così che l’ha voluto Luca Trapanese, presidente di A ruota libera Onlus, che ha fondato nel 2007, e dal 2021 assessore al Welfare del Comune di Napoli. Per lui, il “Dopo di noi” è solo «una brutta parola a cui abbiamo cercato di rispondere col Borgo sociale».
D’accordo con alcuni genitori di disabili – giovani e meno giovani −, negli anni scorsi Trapanese ha acquistato a Marzano Appio prima un palazzo nobiliare in centro, poi altri immobili e terreni: il primo nucleo del Borgo sociale. La prima attività aperta è stata il bar, l’unico del paese. In centro c’è anche un negozio, nel quale vengono vendute le piante grasse coltivate nella serra e altri oggetti prodotti in laboratorio. La vita, nel Borgo, è semplice: sveglia alle 7,30, ci si veste, si fa colazione e poi ci si mette al lavoro. A turno, i ragazzi servono al bar, aiutati da Manuela, una giovane del posto che era in cerca di lavoro. Oppure producono il miele, seguiti da un apicoltore, zappano il campo intorno alla fattoria, coltivano le piante grasse nella serra. Tutti collaborano alla preparazione del pranzo, aiutati da un cuoco, e ai lavori domestici. Dopo pranzo, fanno un pisolino, seguito dalla merenda. Solitamente, il pomeriggio è riservato ai laboratori (artigianali, musicali o artistici) e al ripasso delle nozioni di base di italiano e matematica.
«Ho toccato con mano il totale spaesamento in cui sprofondano le persone disabili, quando rimangono orfane – racconta Trapanese −. C’è addirittura il pericolo che, com’era capitato a Raffaele, uno degli abitanti del nostro Borgo, finiscano a soli 27 anni in una Rsa con degli anziani, ad attendere la fine dei propri giorni. Così ho iniziato ad accarezzare l’idea di una comunità dove potessero vivere e lavorare autonomamente, ovviamente seguiti da educatori e persone che li aiutino nel lavoro, com’è giusto che sia per loro». D’altronde, aggiunge il padre del Borgo sociale di Marzano Appio, «ho sempre detto ai genitori dei ragazzi disabili che ho seguito: “Non aspettate di morire, per dare un futuro ai vostri figli”. Ma i genitori fanno fatica a lasciar andare i propri figli. Così questi ragazzi finiscono per non avere un progetto di vita. Le istituzioni, dal canto loro, scaricano tutto sulle famiglie. Nel Borgo sociale, tutto ciò viene scardinato: il disabile acquista la propria indipendenza andando a vivere con altre persone, in piccoli gruppi, e lavora, conducendo una vita normalissima. Con i genitori è stato fatto un patto: “Ci devi essere sempre, non mi devi scaricare il ‘problema’. Ma allo stesso tempo devi restare fuori dalla vita quotidiana di tuo figlio”».
Da sette anni, Trapanese conosce in prima persona i pensieri con cui convivono quei genitori, cioè da quando ha adottato Alba, una bambina di sette anni con la sindrome di Down. Quando gli è stato chiesto come vede il suo futuro tra dieci anni, ha risposto: «In campagna, con Alba». È anche per lei, infatti, che ha creato il Borgo sociale, che negli ultimi tempi si è arricchito anche della “Locanda dei folli”, un albergo e un ristorante. Gestiti dagli abitanti del Borgo, ovviamente.