Come una scure che si abbatte su una pianta pronta a buttare le prime foglie: l’agenzia Usa Standard & Poor’s ha tagliato il rating dell’Italia a «BBB» da «BBB+». Appena due gradini sopra il livello «spazzatura» o «junk bond», così lo chiamano i tecnici del debito. Non solo: le previsioni per il futuro sono nere, e nei prossimi dodici mesi potrebbe arrivare un ulteriore ritocco. Naturalmente al ribasso, visto che l’outlook è negativo. «Restiamo un sorvegliato speciale», commenta a caldo il premier Enrico Letta, alle prese nelle stesse ore con una situazione politica incandescente. Quasi indispettita la reazione di chi sta cercando di far germogliare la pianta, di favorire cioè la ripresa: una decisione «non condivisibile», «retrospettiva e non di prospettiva», sussurrano nei corridoi del Tesoro. Le motivazioni dell’agenzia di rating «non sono condivisibili» perché «non si tiene sufficientemente conto delle azioni che il governo ha intrapreso» per migliorare la crescita e la competitività, ovvero i due fattori che indica S&P nel motivare la sua scelta. Il taglio del rating, dunque, «riflette una valutazione retrospettiva più che di prospettiva».Nella scala dei valori delle agenzie di rating mancano in ogni caso appena due «taglietti» e poi l’Italia diventerà un Paese sul quale non conviene più investire. Per il debito pubblico e soprattutto per il suo rifinanziamento sarebbe un disastro. Proprio quando gli investitori esteri – l’ha confermato qualche giorno fa Maria Cannata, direttore generale del Tesoro – avevano ripreso a scommettere e quindi a investire sul nostro Paese. Il meccanismo, del resto, è semplice: più è basso il giudizio attribuito dagli analisti, più aumenta il rischio nel comprare i bond governativi.A pesare sulla decisione di S&P sono soprattutto due fattori: l’ulteriore indebolimento dell’economia e la mancata trasmissione sull’economia reale della politica monetaria espansiva della Banca centrale europea con i tassi dei prestiti alle imprese tuttora ben sopra i livelli pre-crisi. La prima considerazione ha suscitato la reazione del Tesoro, la seconda indurrà probabilmente la Bce a pronunciarsi nel merito.«L’azione sul rating riflette l’ulteriore peggioramento delle prospettive economiche al picco di un decennio con una crescita reale media pari al -0,04% – scrive intanto l’agenzia statunitense – Nel primo trimestre 2013 la produzione è stata dell’8% più bassa che nell’ultimo dell’anno 2007, e continua a scendere».Per questo, prosegue S&P nella sua nota, «abbiamo abbassato la stima per il Pil 2013 a -1,9% da -1,4% visto a marzo, e da +0,5% in dicembre 2011. Nella nostra visione la bassa crescita risente in grande parte delle rigidità nel mercato del lavoro e dei mercati produttivi» aggiunge S&P, per la quale i salari sono disallineati rispetto alla produttività, pesando così sulla competitività.Il target di bilancio dell’Italia è poi a rischio a causa dei differenti approcci del governo su come affrontare i buchi di bilancio. In particolare questa necessità nasce per S&P dalla sospensione dell’Imu sulla prima casa e dal rinvio del programmato aumento dell’Iva. «La spesa corrente è inoltre sproporzionatamente alta rispetto a quella per investimenti». L’agenzia potrebbe invece riportare l’outlook da negativo a stabile «se il governo implementerà le riforme strutturali dei mercati del lavoro, dei servizi e dei prodotti», oppure se verranno promosse «vendite di asset o privatizzazioni per ridurre il peso del debito del settore pubblico». Tutte le questioni calde sulle quali il governo sta lavorando proprio in questi giorni. E che il taglio del rating rende bollenti.