Francesco Cerruti, direttore generale di Vc Hub
Le risorse pubbliche per sostenere le startup italiane iniziano ad esserci, ma occorre usarle bene. Francesco Cerruti da poche settimane è direttore generale di VC Hub, l’associazione che unisce i maggiori fondi di venture capital italiani e le startup che hanno raccolto capitali di rischio per crescere. «Sono reduce da una audizione in Commissione Politiche dell’Unione Europea del Senato. Nei primi incontri con esponenti del governo e parlamentari della maggioranza ho trovato una positiva attenzione verso il nostro settore e una certa competenza ».
Nel dl Rilancio c’è un articolo dedicato proprio allo sviluppo delle startup. Le aziende innovative italiane hanno ottenuto ciò che serviva?
La risposta arrivata con il decreto è buona, l’ammontare totale di investimenti pubblici è notevole. Oltre all’articolo specifico sulle startup è interessante quello sull’istituzione del Fondo per il trasferimento tecnologico, con risorse per 500 milioni di euro. Prevede di istituire la Fondazione Enea Tech incaricata di gestire queste risorse. L’importanza del tema in Italia è cruciale, però la gestazione del provvedimento apre una serie di domande sulla fondazione: come viene gestita, chi sceglie lo staff, che mandato avrà… Attendiamo i decreti attuativi per avere maggiore chiarezza, ma allo stesso tempo facciamo presente che sul mercato ci sono operatori attivi da anni, compresa CDP Venture, che è pubblica, che avrebbero le competenze per gestire le risorse stanziate.
In che modo questi fondi potrebbero favorire la crescita del sistema italiano delle startup?
Occorre fare una scelta: vogliamo permettere la nascita di tante startup o vogliamo sostenere quelle startup che hanno dimostrato di avere il potenziale per diventare qualcosa di più grande? Se l’obiettivo è il primo, allora questi strumenti non ci aiuteranno ad uscire dal “nanismo” che ci affligge: abbiamo tantissime startup molto piccole che, nella grande maggioranza dei casi, non riescono mai a svilupparsi. Per noi sarebbe meglio concentrare le risorse su quelle realtà che hanno “gamba” per diventare grandi. Per farlo occorre che gli investimenti pubblici si affianchino a quelli degli investitori privati, producendo un effetto moltiplicatore. L’investitore privato non distribuisce soldi a pioggia e contribuisce a fare quel lavoro di selezione e di valutazione che per lo Stato è complesso da gestire.
Il canale privilegiato per le misure di rilancio economico delle imprese è quello delle banche. Può funzionare anche per le startup?
Le misure di garanzia previste dai dl Liquidità e Cura Italia hanno purtroppo evidenziato due problemi rispetto al mondo delle startup: il primo è che vincolano i prestiti ai ricavi, cosa che poche startup hanno; il secondo è che i criteri di erogazione bancari di fatto escludono le startup che hanno bilanci in perdita e sono di recente costituzione . Più in generale, le startup sono soggetti anomali rispetto alle imprese con cui le banche sono abituate a lavorare.
Molto del rilancio dell’Italia passa per l’innovazione. C’è il clima giusto per riuscirci?
Io credo di sì, anche se ancora non a tutti è chiaro che cosa sono e che contributo possono dare i fondi di venture capital. Il fatto è che quando un’impresa va bene ne beneficia sia l’imprenditore che l’investitore. Siamo sulla stessa barca. Per questo la nostra base associativa comprende sia investitori che imprenditori: l’unico modo per crescere è lavorare insieme. E crescere è indispensabile, perché il sistema delle startup italiane resta piccolissimo rispetto a quelli di altri Paesi europei. Consideri che l’anno scorso in Francia 10 startup hanno raccolto più di 100 milioni di euro ciascuna, e in Italia nemmeno una. © RIPRODUZIONE RISERVATA