Psicologa, laureata all’Università di Buenos Aires, e sta ultimando un master in Psiconeuroimmunoendocrinologia. A 28 anni, l’argentina Julieta Dabas ha un’esperienza di lungo corso nella ricerca sulla sindrome di burnout o da estenuazione, che porta avanti con colleghi della sua generazione. “L’Oms l’ha già riconosciuta e classificata come staff burnout, ed è uno dei 5 problemi più importanti della salute nel mondo”, ricorda. “È il prodotto dell’anacronismo e della burocratizzazione delle istituzioni, che impediscono di dare risposte alle legittime domande della comunità”, rileva. “E’ molto frequente nelle professioni di servizio, fra coloro che si dedicano alla salute e all’istruzione, e finiscono frustrati e ammalati per l’impossibilità di adempiere la propria vocazione”.
In generale, colpisce le categorie più esposte a richieste pressanti di risultati, con stress e ritmi di lavoro sostenuti, non commisurati a quelli della persona ma orientati al profitto. In una realtà come quella latinoamericana, aggravata dalla crisi pandemica, l’incidenza del burnout – bruciato dentro in senso letterale – è altissima: dell’80,2% in Argentina, stessa percentuale in Cile, del 72,9% in Perù, del 53,6% a Panama, secondo un rapporto del web per l’impiego Bumeran, citato da Forbes. Ma è anche, o soprattutto, una problematica interna alle istituzioni, che si traduce in alienazione e depressione.
“Per dimostrare l’ipotesi della nostra indagine sulla crisi di fiducia che stiamo vivendo a livello globale e locale, dovevamo aprire spazi fuori dalle istituzioni nei quali costruire equipe di lavoro e recuperare la capacità di risolvere i problemi”, espone la psicologa. “Significava adottare un metodo inter e transdisciplinare di ‘organizzazione umana’, che è quello che applichiamo. Voleva dire anche – aggiunge - trovare risorse per finanziare le ricerche. Esperienze come quelle di Muhammad Yunus e Amarthya Sen ci hanno incoraggiati a esplorare forme di autofinanziamento, per non dipendere da sponsor e difendere un’autonomia di criterio”. Già dai primi passi all’università Julieta è stata coinvolta dal padre medico e dalla madre docente nel progetto della Federación Mundial de Ecologia Cultural per un contributo al superamento della sindrome di burnout nell’ambito educativo e della salute. “Non è solo un’esperienza teorica, ma partecipativa, che si è estesa dall’Argentina al Messico e al Perù “, illustra. “Nell’area della docenza, ad esempio, sviluppiamo una formazione educativa a tappe cui partecipano nonni, genitori, adolescenti, bambini, che stimola un’alta motivazione all’apprendimento e, allo stesso tempo, sana una serie di difficoltà di ordine psicologico”. In pratica, si abbattono le barriere fra chi insegna e chi apprende, perché “tutti apportano e condividono soluzioni di problemi, in una dimensione personalizzata, che riverbera sulla comunità ”.
Per Julieta, l’incontro con l’Economy of Francesco, il laboratorio globale di idee promosso dal Papa, rivolto a giovani change-makers impegnati in un processo di dialogo inclusivo, è stato naturale. “L’appello del Papa Francesco a superare la cultura dello ‘scarto’, che nega un posto a tutti nella società, mi ha profondamente commossa”, assicura. “Mancanza di lavoro, rinuncia alla maternità, soprattutto l’assenza di fiducia nel futuro sono i risultati di questa cultura. Il cambiamento messo in moto da Bergoglio apre spazi di speranza per la mia generazione, per quelle precedenti e a venire”. Durante l’incontro virtuale dell’anno scorso, la giovane psicologa ha aderito al villaggio di Vocazione ed Economia dell’EoF . E a settembre, in presenza ad Assisi, prevede di presentare i risultati della ricerca sul terreno, “con un grande desiderio di ascoltare altre voci ed esperienze sul campo”, assicura. Lei, da allieva e docente, coordina con il marito un gruppo di giovani professionisti “mossi dalla stessa vocazione di costruire una società più solidale e generosa”. “Il che comporta – osserva Julieta – formarsi in varie discipline, ma con il metodo comune dell’organizzazione umana, e alla ricerca di nuovi paradigmi scientifici che tengano conto delle necessità dei nostri simili e di tutti noi”. “Per questo – conclude - abbiamo fondato l’Università de Familias, un progetto in costruzione comune a ogni età, per tendere un ponte di dialogo e di cura fra le generazioni”.