Non si vende quasi mai un prodotto, ma un’ idea. Vestire le merci e i servizi di un’aura positiva ricorrendo all’etica, alla religione, al costume è una pratica vecchia come il commercio. La finanza, in questo, è regina: per questo una sezione di questa rubrica sarà dedicata alle parole ingannevoli della finanza, e oggi cominciamo con una piattaforma che ha promesso di portare la democrazia nel trading offrendo a tutti la possibilità di accedere ai mercati finanziari. Il nome che si è dato, Robinhood, richiama trasferimenti di ricchezza dai ricchi ai poveri, ma se si toglie il vestito ideologico non è esattamente così.
Robinhood nasce nel 2012 da due ex studenti californiani, Baiju Bhatt e Vlad Tenev, con i soldi dei venture capitalist. Oggi capitalizza circa 11mld$ dopo una iniezione di capitale di 200m$ da parte di D1 Capital Partners, un fondo speculativo: dal 2013 il capitale iniettato nella piattaforma è di 1,7mld$. Ha più di 13 milioni di clienti, molti dei quali acquisiti durante il lockdown. Secondo alcune fonti ha entrate vicine ai 300m$ solo dalle commissioni che riceve dai grandi player finanziari per ridirezionare gli ordini dei clienti. La piattaforma è facile, amichevole, funziona come un videogioco e non chiede commissioni.
La logica che sorregge il suo successo è la stessa delle altre piattaforme digitali di incontro fra domanda e offerta (Airbnb, Uber, Flixbus, Amazon): abbattere i costi di transazione che impediscono a chi sarebbe disposto ad accedere a un servizio di incontrare chi è disposto a fornirglielo. In finanza questi costi di transazione, prima del digitale, erano molto alti: per investire bisognava andare in banca, informarsi, dare un mandato, pagare una percentuale. La finanza online permette di superare molti di questi ostacoli e accedere ai mercati con un click, e Robinhood ha portato all’estremo la facilità di accesso: anche un ragazzo con un euro può sedersi al tavolo della finanza e investire, come se giocasse alla playstation.
Vediamo ora se questa finanza è veramente gratuita per il cliente oppure no. Effettivamente Robinhood non trattiene percentuali sui tuoi soldi che decidi di affidargli perché vengano investiti. Ti chiede però un minimo di 5$ al mese se vuoi fare leva, cioè se vuoi avere credito per aumentare la massa investita: ad esempio io metto 100€ e Robinhood me ne presta 900, così il mio investimento è 1000€. Se l’investimento va a buon fine e il mio capitale aumenta a 1100€ potrò restituire i 900 prestati con un interesse e realizzare un guadagno di circa 100€. Ma se il capitale scende a 900 i 100€ saranno la mia perdita, tutto il capitale investito si volatilizzerà. Inoltre, il meccanismo di Robinhood di fatto può costare all’investitore più delle commissioni che troverebbe in banca: l’investitore piazza un ordine a Robinhood, questo lo gira a un high-frequency trader il quale gli paga una piccola commissione per ogni ordine, poi piazza l’ordine a prezzi migliori rispetto alla Borsa, grazie alla tecnologia digitale, e non è chiaro se passa questo margine al cliente o lo trattiene: trattenendo lo spread tra valore di Borsa e prezzo di acquisto guadagna la sua commissione. Infine, mentre aprire un conto con Robinhood è gratis, spostarsi su un altro trader costa 75$.
C’è infine una questione etica di fondo: è giusto permettere a millenials inesperti di accedere al trading finanziario con la facilità di un videogioco? E’ giusto permettere che si indebitino con la piattaforma per amplificare i guadagni, ma anche le perdite, con un semplice click e che possano accedere al mercato delle opzioni, altamente volatile e rischioso? Il suicidio di Alex Kearns, un ventenne che si è tolto la vita a giugno credendo erroneamente di avere perso 750.000$, ha sollevato questi problemi, per ora senza risposta.
Viene il dubbio che mentre il vero Robinhood rubava ai poveri per dare ai ricchi la piattaforma attragga i soldi dei giovani per arricchire gli anziani ricchi della finanza. Nessun pasto è gratis, neanche alla tavola di Robinhood, dove possono essere serviti anche piatti avvelenati.
* Franco Becchis è direttore scientifico della Turin School of regulation e dell'Osservatorio sulla regolazione dei mercati digitali