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In un’economia globale che si è dimostrata più tenace del previsto, riuscendo ad evitare la recessione nel 2023, le prospettive di crescita dei prossimi due anni restano comunque basse, a livelli pre-pandemici, mentre diversi fattori, come la persistenza dei conflitti e il cambiamento climatico, mettono a rischio i progressi verso lo sviluppo sostenibile e la vita di milioni di persone. È netto il quadro che emerge dal rapporto Onu sulle prospettive della situazione economica globale (Wesp), un documento da cui emergono tutte le difficoltà di questo tempo di “policrisi”, in cui le disuguaglianze potrebbero aumentare e in cui le banche centrali devono trovare un complicato equilibrio tra inflazione, crescita e stabilità finanziaria. Nel 2022 oltre 50 economie fragili hanno speso oltre il 10% dei ricavi statali nel pagamento degli interessi sul debito e 25 tra loro hanno superato il 20%. I Paesi a basso reddito, sottolinea l’Onu, necessiteranno di provvedimenti di ristrutturazione e cancellazione del debito, per evitare crisi devastanti e recessioni.
Da un lato tutte le incognite legate alla crisi del debito e agli effetti devastanti del cambiamento climatico, dall’altro le prospettive legate alla rivisitazione dei contratti con le compagnie minerarie e alle partnership internazionali, oltre che ad una maggiore implementazione del mercato di libero scambio intra-africano. Per l’Africa il 2024 avrà secondo gli analisti un percorso non scontato. Il Fondo monetario internazionale sottolinea che proprio il continente nero sarà, dopo l’Asia, la seconda regione del mondo a più alta crescita economica, attorno al 4%, mentre gli esperti dell’Onu pongono l’asticella al 3,5 per cento, comunque in miglioramento rispetto al 3,3 per cento del 2023. Il problema, secondo molti, è da una parte capire se queste soglie siano effettivamente sufficienti a favorire lo sviluppo oppure se restino comunque troppo basse, soprattutto a fronte del rischio di nuovi choc economici globali, che vedono l’Africa subire conseguenze drammatiche come è stato nel caso della crisi del grano ucraino.
Sono almeno 9 i Paesi africani con debiti in sofferenza, mentre altri 15 sono ad alto rischio e 14 a rischio moderato. Zambia e Ghana sono casi di default conclamato: a loro si è recentemente unita l’Etiopia. Nel 2024 e nel 2025 andranno a scadenza i pagamenti di molti eurobond, un’incognita per le casse di molti Stati del continente. Il Kenya ha già rinegoziato e sta pianificando di usare fondi ricevuti dal programma del Fmi e della Banca mondiale per ripagare le sue obbligazioni, mentre Tunisia ed Egitto sono tra i Paesi su cui sono accesi i fari della finanza globale. In generale, l’economia della regione orientale del continente dovrebbe performare meglio delle altre, anche grazie a un vantaggio infrastrutturale, mentre il Sudafrica dovrebbe sorpassare Nigeria ed Egitto e riaffermarsi come la maggiore economia del continente.
Cruciale resta secondo gli esperti l’aspetto della potenziale ricchezza derivante dalle risorse del sottosuolo, minerali fondamentali per la transizione energetica globale di cui c’è altissima domanda. Litio, grafite, manganese, bauxite e cobalto sono tra gli asset indispensabili alla crescita africana, con prezzi in ascesa sui mercati globali. Anche per questo, diversi governi del continente continueranno a rivedere gli accordi commerciali con le compagnie estrattive. Un processo di rinegoziazione che è già in corso, ad esempio, nella Repubblica democratica del Congo e in Botswana. Il contesto economico regionale vede però una grossa incognita nell’instabilità politica, esemplificata dai nove colpi di Stato succedutisi dal 2020 a oggi, come quelli recenti in Gabon e Niger. La regione del Sahel continua tra l’altro ad essere epicentro del terrorismo, tanto che nel 2023 l’Africa sub-sahariana ha avuto il 48% delle vittime globali di questo fenomeno.
Nel 2024 sono molti i summit internazionali a cui saranno chiamati a partecipare i leader africani, summit in cui le prospettive economiche e gli accordi commerciali saranno messi al centro del dibattito. Dal nono forum sulla cooperazione Cina-Africa al secondo Uk-African investment summit di Londra, previsto per maggio, fino all’India-Africa Forum summit (senza dimenticare la prevista conferenza Italia-Africa di Roma a fine gennaio), gli appuntamenti per stringere alleanze e provare rimodellare vecchie partnership non mancheranno.
A livello interno, inoltre, il sistema di pagamento pan-africano – che ha come obiettivo di consentire ai Paesi africani di aumentare il commercio intra-continentale, continuando a utilizzare le proprie valute e riducendo quindi la dipendenza dal dollaro Usa e da altre valute pesanti – sta acquisendo forza. Tutte le banche centrali, seguite dagli istituti bancari commerciali, dovrebbero aderire entro l’anno al Pan-African Payment and Settlement System, sviluppato da Afreximbank. Certo, gli alti costi di finanziamento restano una sfida importante per le economie africane: i costi per i prestiti restano, nei Paesi del continente, quattro volte più alti rispetto a quelli dei Paesi più sviluppati. L’impatto del cambiamento climatico resta poi per l’Africa una delle principali incognite, mentre il gap per la finanza verde nella regione è di 120 miliardi di dollari l’anno. Il continente riceve soltanto il 2% dei flussi finanziari globali destinati all’energia pulita, pur essendo la regione che più subisce gli effetti negativi del riscaldamento globale. Una stortura che potrebbe parzialmente essere corretta dal Fondo Loss and damage, formalmente adottato di recente al summit sul clima di Dubai.