giovedì 14 maggio 2020
L’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche stima una spesa annua di 44 miliardi di euro
Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp

Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp - Archivio

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Le misure di sostegno al reddito predisposte dal governo sono riuscite a proteggere tutti i lavoratori? E quanto costerebbero se l’emergenza da Coronavirus durasse almeno un anno? L’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) ha pubblicato il primo studio che fotografa gli interventi messi in campo dalle istituzioni per fronteggiare la drammatica crisi reddituale scatenata dalla crisi sanitaria ed economica. In Emergenza sanitaria e misure di sostegno al reddito dei lavoratori in Italia si analizza come si siano rafforzati alcuni strumenti di protezione sociale esistenti (cassa integrazione), si siano semplificati altri ammortizzatori sociali (Naspi, Discoll) e introdotti indennizzi una tantum (bonus) anche attraverso un Fondo di ultima istanza per quei soggetti lavorativi le cui strutture previdenziali non prevedevano interventi di sostegno o i cui contorni erano residuali, frammentati o incerti.

Dalla classificazione degli interventi emerge che sono tre le tipologie di misure che hanno interessato il sostegno al reddito dei lavoratori. Il primo tipo prevede interventi in costanza di rapporto di lavoro ed è rappresentata dalle azioni di supporto riferibili al rafforzamento delle diverse tipologie di cassa integrazione guadagni, finalizzate alla conservazione della posizione lavorativa presente. Queste misure hanno interessato circa tre milioni di lavoratori e prevedono una stima in oneri di cinque miliardi di euro. La seconda tipologia è riferibile alla semplificazione attuativa degli ammortizzatori sociali esistenti, per lavoratori standard e non standard, Naspi e Discoll. In questo caso il sistema di protezione economica non è collegabile al mantenimento della posizione lavorativa, ma ad una tradizionale dinamica di flexsecurity, con politiche di sostegno economico e potenziale reinserimento lavorativo tramite percorsi di attivazione condizionanti.

«Il terzo tipo di misure si presenta, invece, come un insieme di azioni innovative - scrivono i ricercatori dell’Inapp - perché finalizzato a tutelare una platea di soggetti colpiti dall’emergenza reddituale, non assicurati da nessun dispositivo presente». Tali soggetti non abbisognano di «percorsi di attivazione per il reinserimento lavorativo, perché già occupati (autonomi) o potenzialmente ri-occupati alla fine della fase emergenziale, come nel caso dei lavoratori discontinui, stagionali, dello spettacolo e collaboratori sportivi». In questo caso la platea dei lavoratori è di 5.441.000 persone per una spesa stimata per ogni mese di 3,2 miliardi di euro. Lo studio dell’Inapp stima anche il costo delle misure del decreto Cura Italia ipotizzando un’estensione massima dei sostegni fino a dodici mesi (non considerando ipotesi di ampliamento delle misure). In questo caso il costo dell’impegno finanziario relativo a indennità e Fondo di ultima istanza ammonterebbe intorno ai 39 miliardi di euro, che raggiungerebbe i 44 miliardi sommando il costo del reddito di cittadinanza, per una copertura di una platea complessiva di circa otto milioni di individui. A ciò vanno aggiunti i sostegni al reddito per lavoratori domestici non coperti da cassa integrazione e per altre categorie ancora non coperte.

«Nel complesso si tratta – spiega il professore Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp - di un poderoso sistema di misure di compensazione della caduta dei redditi dovuta alla pandemia; ma per rafforzarne la funzione di supporto alla crescita della produzione e dell’occupazione occorrerebbe inserirle organicamente in una triplice prospettiva di azione che ci viene offerta dalla stessa crisi. La prima è quella della ristrutturazione dei processi produttivi connessa all’adozione dello smart working, che, ricordiamolo ancora una volta, non è il semplice “telelavoro”. Da questa ristrutturazione può derivare una serie di benefici anche in termini di crescita della produttività del lavoro e della competitività delle imprese. La seconda è quella della creazione di nuove attività imprenditoriali, verso le quali potrebbero riconvertirsi attività specie di piccola scala con difficoltà di riapertura dopo la pandemia, o comunque sollecitate da nuovi bisogni legati all’economia circolare e all’economia verde in genere (una sezione delle politiche del lavoro potrebbe essere dedicata a questo)». «Infine – conclude il presidente dell’Inapp - l’adombrata riduzione delle ore individuali di lavoro accompagnata da corrispondenti ore dedicate alla formazione con finanziamento del Fondo Sociale Europeo potrebbe (se la formazione non fosse una mera finzione burocratica per attingere al Fondo Sociale come fu nel caso della “cassa integrazione in deroga”) svolgere la triplice funzione di accrescere le competenze e il capitale cognitivo dei lavoratori, di favorire la crescita della domanda di lavoro e di ridurre il mismatch delle competenze».

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