lunedì 17 giugno 2024
La lettera di monsignor Pietro Lagnese è stata consegnata al presidente americano durante il G7: «Faccia un piccolo miracolo laico per difendere i posti di lavoro dello stabilimento Jabil»
La protesta dei lavoratori davanti alla fabbrica

La protesta dei lavoratori davanti alla fabbrica - Ansa

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Il grande processo globale di reshoring, che sta riportando le imprese nel proprio Paese d’origine, ha anche le sue vittime: i lavoratori. Tra loro ci sono i 420 dipendenti dello stabilimento Jabil di Marcianise, in provincia di Caserta, nel quale si producono circuiti e componenti elettronici. La multinazionale con base negli Stati Uniti, il Paese che più di tutti ha promosso il rientro in patria delle produzioni, ha ribadito nei giorni scorsi ciò che aveva già annunciato a ridosso del Primo Maggio scorso: il sito di Marcianise chiuderà. Il fatto che l’azienda – che conta oltre 250mila dipendenti in tutto il mondo − non abbia fornito particolari spiegazioni circa il motivo per cui ha deciso di chiudere l’unico stabilimento italiano, se non parlando di una propria strategia imprenditoriale a livello globale, ha convinto i lavoratori e i sindacati che alla base di tutto ci sia proprio il meccanismo di ricollocazione delle imprese made in Usa promosso dal governo federale americano. Che riguarda in particolare alcuni settori strategici dell’economia statunitense, tra cui c’è anche quello dei circuiti e dei componenti elettronici in cui opera Jabil.

Il vescovo di Caserta, Pietro Lagnese, ha scritto nei giorni scorsi una lettera al presidente americano, Joe Biden, fatta consegnare all’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia mentre Biden era impegnato nella riunione del G7 tenutasi nei giorni scorsi in Puglia. «La Jabil – scrive Lagnese al presidente americano − non è un’azienda in perdita o poco innovativa: produce le colonnine per ricaricare le auto elettriche, le auto del presente e del futuro; sistemi di controllo ferroviario nel mercato dell’alta velocità, i treni del presente e del futuro. E tanto altro. Non sono quindi motivi economici o produttivi a motivare questo trasferimento ma, spiegano gli operai, si tratta di una strategia geopolitica degli Stati Uniti per riportare le aziende innovative in America». Il vescovo di Caserta chiede a Biden «un piccolo miracolo laico: intervenga per difendere questi posti di lavoro in Italia, a Marcianise. Chieda alla Jabil di trovare una soluzione alternativa, nuove produzioni».

Giovedì scorso, Fiom, Fim e Uilm hanno promosso uno sciopero dei metalmeccanici nell’intero Casertano concluso con un comizio dei segretari generali delle tre sigle, Michele De Palma, Ferdinando Uliano e Rocco Palombella. I sindacati hanno ribadito il netto “no” dei lavoratori Jabil a un’ennesima ricollocazione, visto il fallimento di quelle precedenti che hanno condotto circa 250 persone dal sito di Marcianise ad altri del territorio. In totale, sono circa 500 i dipendenti di Jabil che hanno lasciato lo stabilimento dal 2015 a oggi. I 420 rimasti hanno rifiutato anche il rinnovo della cassa integrazione che li ha sostenuti fino al 31 maggio scorso, riproposto dalla multinazionale. Domenica la multinazionale ha comunicato la decisione di imporre le ferie a tutti i lavoratori. La distanza tra Jabil, che vuole chiudere il sito di Marcianise, e i lavoratori, che rifiutano ogni alternativa, si fa sempre più grande.

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