Oltre il Pil, il Bes. Ma quale? Se il Prodotto interno lordo, il totem che domina intoccabile l’economia dal dopoguerra a oggi, è un criterio di valutazione di fatto oggettivo, in grado di far stilare una classifica in cui i Paesi ricchi stanno in cima e quelli poveri in zona retrocessione, quello del Benessere equo e sostenibile è un criterio multisistemico e relativo. Nel tempo e nello spazio. È insomma in costante divenire. «Ciò che per i miei genitori o per i miei nonni era un fondamentale indicatore di benessere, per esempio la partecipazione politica, per me oggi può non essere così prioritario. A me ora preme piuttosto che l’aria che respiro non sia inquinata, mentre a mio nonno interessava ben altro». È la stimolante provocazione del professor Mauro Gallegati, docente di Macroeconomia Avanzata presso l’Università Politecnica delle Marche, artefice di uno studio sull’evoluzione storica degli antenati del Pil e del Bes dal 1861 a oggi.
Professore, una frecciata al Bes?«Tutt’altro. Il Bes è la grande alternativa alla dittatura del Pil, purché sia declinato in relazione al territorio. Avendo un approccio multisistemico, può essere un innovativo strumento per poter adottare politiche sempre più mirate in base alle reali esigenze della popolazione locale. Così avremo delle sempre più concrete dimensioni del benessere. Supponiamo che a me faccia male un ginocchio, ma che la pressione arteriosa vada benissimo. Non per questo si potrebbe affermare allora che le mie condizioni di salute generali siano perfette.
Il Pil come criterio onnicomprensivo mostra insomma la corda...Sì, perché è irrealistico. Il Pil è l’ancella del consumismo, per cui questa società continua a produrre ben oltre le reali esigenze della collettività. Per fermare questa pazza corsa senza fine bisognerebbe sostituire al falso e fuorviante obiettivo di una crescita senza freni, quello della "a-crescita", in cui il Pil sarebbe soltanto un aspetto della vita, benché importante. La "a-crescita" altro non sarebbe che una lungimirante politica economica di mantenimento di un benessere possibilmente diffuso ed equilibrato.
Non le sembra una visione un po’ troppo utopistica?Non direi. Il caso della Grecia, fatte le debite considerazioni sulla complessa specificità della vicenda, è ammonitore quanto emblematico. È come se questa vicenda dicesse a tutti quanti: guardate dove andrete a finire con l’attuale sistema economico. Un mercato globale strutturato su una crescita basata sul Pil è deleterio per tutti. La nostra è l’economia del criceto.
L’immagine è suggestiva. Ma cosa intende dire precisamente?Ho citato il titolo di un mio libro in cui parlavo della necessità di andare oltre il Pil. Noi continuiamo a produrre ossessivamente, così come il criceto continua a girare sulla ruota della sua gabbietta. Questa irrefrenabile corsa ai consumi, che nel nostro caso comporta un incondizinato sfruttamento delle risorse come se fossero inesauribili, non ci porterà molto lontano. Proprio come il criceto, che gira continuamente, ma resta sempre lì.
Sì, ma al criceto c’è chi dà da mangiare mentre l’uomo se lo deve procacciare...Non c’è dubbio, ma il punto cruciale è come, quanto e a che prezzo. Siamo all’ultima chiamata per innescare uno sviluppo finalmente equo e sostenibile. È una battaglia difficile scalzare il Pil dal suo trono, in un sistema tutto regolato dal calcolo di salari e profitti. Bisognerebbe far circolare ovunque l’enciclica del Papa
Laudato si’. Non possiamo permetterci di mangiarci il futuro perché schiavi dell’ottica del profitto.
In cosa consisterebbe la principale novità del Bes in termini macroeconomici?Sarebbe una radicale svolta culturale, purché questo innovativo criterio venga ben applicato. La sua prerogativa è di consentire analisi di lungo periodo e mirate per territori: nazioni, macroregioni, regioni e addirittura province. Il Sud d’Italia, per esempio, è un altro paese rispetto al Centro e al Nord. Non in generale, ma in base ai diversi dominii del benessere. Il Bes è imperniato sulla soggettività.