Un anno e mezzo fa gli europei non badavano molto agli spread. Il problema del Vecchio continente era semmai la ripresa, troppo debole. Il peggio sembrava alle spalle. La recessione globale del 2009 aveva colpito duro anche le economie più forti, ma quei dati sui Pil che cadevano sembravano archiviati. Il discorso valeva per tutti, ma non per la Grecia, la pecora nera della zona euro, il Paese che aveva truccato i conti e che nel maggio del 2010 aveva avuto bisogno di un salvataggio perché non riusciva più a ottenere prestiti a tassi accettabili dagli investitori.A novembre del 2010 l’Europa aveva dovuto salvare anche l’Irlanda, ma era un caso diverso: un’economia in salute dove però le banche erano in crisi per l’esplosione della bolla immobiliare. Ma in quel 2011 questi "casi diversi" iniziarono a diventare un po’ troppi. A maggio anche il Portogallo invocò e ottenne il soccorso comunitario per difendersi da investitori troppo preoccupati per concedergli credito. Già in quei giorni l’Europa incominciava a rendersi conto che questo problema del credito ai governi più fragili rischiava di degenerare. Allora si iniziarono a guardare gli spread: più un Paese era considerato incapace di restituire i soldi che chiedeva in prestito, più i tassi dei suoi titoli di Stato si allontanavano da quelli dei Bund tedeschi. Lo spread dell’Italia ad aprile 2010 era sotto i 100 punti, un anno dopo aveva toccato i 200, a maggio 2011 non era lontano dai 400.Nell’agosto 2011 gli spread di Italia e Spagna hanno iniziato ad andare fuori controllo, e la loro riduzione è diventata la prima urgenza. È l’ultima tappa di 5 anni di crisi: la sfiducia sulla capacità di ripagare i mutui degli americani si è trasferita sulle banche Usa, quindi su quelle europee che quei mutui li avevano comprati e, infine, sui governi che sono intervenuti per sostenerle e per rilanciare l’economia. I governi europei si sono così messi litigiosamente d’accordo sulla necessità di rimettere in ordine i conti pubblici. Le nuove tasse introdotte per tagliare i deficit e le brusche riduzioni di spesa hanno però spinto le nazioni dell’euro verso una nuova recessione che, diversamente da quella del 2009, arriva in un momento in cui nel resto del mondo l’economia non va così male. E gli spread, nel frattempo, sono saliti ancora. Per ridurli i leader europei stanno cercando un sistema di garanzie comuni sui debiti che però implicherà cessioni di sovranità difficili da accettare. È la ricerca di questa soluzione la prima urgenza dell’Europa, ma anche dell’economia mondiale che entra nel sesto anno della crisi sperando che sia l’ultimo. Bruxelles permettendo. (Pietro Saccò)
Il 9 agosto 2007 è la data chiave di una vicenda di eccessi finanziari che ha generato la peggiore crisi dal dopoguerra. Quali lezioni si possono trarre.
Galli: «I governi complici di banchieri disinvolti» | Bruni: «L'economia ritrovi la vocazione umanistica» | Becchetti: «Se i mercati minacciano libertà e democrazia» | Parsi: «Per gli Usa conti ben peggiori, il deficit europeo è politico»
Il futuro sia sovrano di Giuseppe Dalla Torre
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Il futuro sia sovrano di Giuseppe Dalla Torre
Un anno e mezzo fa gli europei non badavano molto agli spread. Il problema del Vecchio continente era semmai la ripresa, troppo debole. Il peggio sembrava alle spalle. La recessione globale del 2009 aveva colpito duro anche le economie più forti, ma quei dati sui Pil che cadevano sembravano archiviati. Il discorso valeva per tutti, ma non per la Grecia, la pecora nera della zona euro, il Paese che aveva truccato i conti e che nel maggio del 2010 aveva avuto bisogno di un salvataggio perché non riusciva più a ottenere prestiti a tassi accettabili dagli investitori.A novembre del 2010 l’Europa aveva dovuto salvare anche l’Irlanda, ma era un caso diverso: un’economia in salute dove però le banche erano in crisi per l’esplosione della bolla immobiliare. Ma in quel 2011 questi "casi diversi" iniziarono a diventare un po’ troppi. A maggio anche il Portogallo invocò e ottenne il soccorso comunitario per difendersi da investitori troppo preoccupati per concedergli credito. Già in quei giorni l’Europa incominciava a rendersi conto che questo problema del credito ai governi più fragili rischiava di degenerare. Allora si iniziarono a guardare gli spread: più un Paese era considerato incapace di restituire i soldi che chiedeva in prestito, più i tassi dei suoi titoli di Stato si allontanavano da quelli dei Bund tedeschi. Lo spread dell’Italia ad aprile 2010 era sotto i 100 punti, un anno dopo aveva toccato i 200, a maggio 2011 non era lontano dai 400.Nell’agosto 2011 gli spread di Italia e Spagna hanno iniziato ad andare fuori controllo, e la loro riduzione è diventata la prima urgenza. È l’ultima tappa di 5 anni di crisi: la sfiducia sulla capacità di ripagare i mutui degli americani si è trasferita sulle banche Usa, quindi su quelle europee che quei mutui li avevano comprati e, infine, sui governi che sono intervenuti per sostenerle e per rilanciare l’economia. I governi europei si sono così messi litigiosamente d’accordo sulla necessità di rimettere in ordine i conti pubblici. Le nuove tasse introdotte per tagliare i deficit e le brusche riduzioni di spesa hanno però spinto le nazioni dell’euro verso una nuova recessione che, diversamente da quella del 2009, arriva in un momento in cui nel resto del mondo l’economia non va così male. E gli spread, nel frattempo, sono saliti ancora. Per ridurli i leader europei stanno cercando un sistema di garanzie comuni sui debiti che però implicherà cessioni di sovranità difficili da accettare. È la ricerca di questa soluzione la prima urgenza dell’Europa, ma anche dell’economia mondiale che entra nel sesto anno della crisi sperando che sia l’ultimo. Bruxelles permettendo. (Pietro Saccò)
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