Un altro scandalo aberrante o solo una pratica inquietante, comune però anche a molti altri settori industriali che utilizzano, o hanno utilizzato in passato, animali vivi come cavie? La portata del nuovo “caso” che colpisce l’automobile è ancora tutta da verificare. Determinante è stabilire il coinvolgimento di esseri umani, ipotesi subito smentita dall’Università di Aquisgrana che ha precisato che che i test sui gas di scarico eseguiti sulle persone sono stati realizzati proprio per verificare la sicurezza delle condizioni di lavoro dei dipendenti dell’industria dell’auto.
E che lo studio è stato autorizzato dal comitato etico dell’Università, senza pericoli di salute per i soggetti interessati. Detto questo, è indubbio che questa vicenda dia un’altra spinta verso il baratro ai motori diesel, coinvolti in situazioni ormai insostenibili per le problematicità che le loro emissioni presentano. E questo malgrado continuino ad essere, nelle loro forme più moderne, più virtuosi dei benzina quanto a produzione di CO2, e i più acquistati sul mercato.
Pratiche come quella denunciata negli Usa, nella portata – ripetiamo – che eventualmente meriterà, sommato a quello del dieselgate, hanno comunque il pregio di accelerare il cambiamento tecnologico che l’industria dell’automobile sta mettendo in atto. E di aver aperto la strada ai nuovi criteri per testare le emissioni nocive, introdotti nel 2017 con le norme Wltp per l’omologazione delle vetture in condizioni reali. Un allineamento degli standard a livello mondiale, che cancelli per sempre l’assurda pratica in atto sino ad un anno fa, quando i test sulle vetture erano affidati alle motorizzazioni dei singoli Paesi, se non addirittura ai costruttori stessi, ed erano effettuati all’interno delle fabbriche dove le auto erano costruite. Questo sì un verso scandalo, perpetrato per anni alla luce del sole.