mercoledì 23 ottobre 2024
Dieci milioni di under40 in meno in quarant'anni sono un drammatico bilancio che incide anche sul Pil e sul debito pubblico. Dal 2011 ad oggi 180mila imprese in meno, con il Sud in forte affanno
In 40 anni in Italia sono spariti 10 milioni di giovani

In 40 anni in Italia sono spariti 10 milioni di giovani

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L’Italia non è un Paese per giovani, ne ha persi per strada dieci milioni in quarant’anni (gli under 40 sono passati dai 32,3 milioni del 1982 a 22,8 milioni del 2023), mentre è quasi raddoppiata la quota di ultrasessantacinquenni (da 7,5 milioni del 1982 a 14,2 milioni del 2023). Fenomeni che si sono manifestati in maniera esasperata al Sud dove tra il 2011 e il 2023 si è concentrata la perdita di popolazione (1 milione in meno di abitanti) e il progressivo invecchiamento con ben 1,9 milioni di giovani. Peggiori condizioni economiche comprimono, infatti, la demografia e senza demografia non c’è crescita.Il risultato è che negli ultimi dodici anni sono sparite 180mila imprese giovani di cui più del 40% nel Mezzogiorno (oltre 78mila). E il tasso di imprenditoria giovanile, cioè la quota di imprese giovani sul totale, si è ridotto di ben 3,1 punti percentuali, passando dall’11,9% all’8,8%. Senza questa perdita, e quindi con un tasso costante pari a quello del 2011, oggi avremmo tra i 47 e i 63 miliardi di euro in più di Pil.

Questi in sintesi i principali risultati dell’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio “L’importanza dell’imprenditoria giovanile per la crescita economica” presentata oggi a Milano in occasione del XV Forum nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio.

Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli nel suo intervento ha messo l’accento sul rischio che i giovani italiani smettano di avere la voglia e la possibilità di creare impresa. “Questo desiderio di crescita nell’ultimo decennio sembra assopito. Nel 2011 le imprese giovanili erano quasi il 12% del totale, nel 2019 erano il 9,5%, nel 2023 l’8,8%. L’impresa è insomma un orizzonte che le nuove generazioni scelgono sempre meno. Tuttavia, fare impresa è una delle decisioni a più alto impatto personale e sociale che possano esserci.”.Il presidente dei Giovani Imprenditori di Confcommercio, Matteo Musacci ha parlato del ruolo fondamentale dell’imprenditoria giovanile nella crescita del Paese. "Abbiamo voluto dedicare questo XV Forum Nazionale al tema della crescita perché è il momento che ogni giovane imprenditore - di prima generazione, ma non solo - si trova ad affrontare, spesso con un senso di solitudine. Ma i dati dimostrano anche che senza imprenditoria giovanile lo sviluppo, del Paese procede con il freno a mano tirato. Da un punto di vista innanzitutto quantitativo ma anche qualitativo: le imprese giovanili portano nel mercato energie, prospettive e competenze che rappresentano un irrinunciabile canale di innovazione e creatività”.

Il declino secondo Confcommercio può essere contrastato solo incrementando il tasso di imprenditoria giovanile soprattutto nel terziario di mercato che negli ultimi trent’anni è il settore che ha generato crescita economica ed occupazione (+3,5 milioni di occupati a tempo pieno dal 1995 al 2023 rispetto a meno di un milione negli altri comparti). L’imprenditoria giovane può dare impulso alla crescita complessiva del Paese e, in particolare, del Mezzogiorno che ha sempre trovato nell’autoimprenditorialità un’àncora di salvezza contro la ridotta presenza di grandi imprese che generano lavoro dipendente. Occorre migliorare il contesto socio-economico e la demografia, incentivando la partecipazione femminile al lavoro per invertire la tendenza demografica a lungo termine; incentivare l‘imprenditorialità, promuovendo l'auto-imprenditorialità attraverso agevolazioni fiscali, semplificazione burocratica e contesto più favorevole; agevolare l’accesso al credito per le imprese giovanili.

Lo studio di Confcommercio prova a spiegare il perché di questa disaffezione analizzando due indicatori: il debito pubblico e la pressione fiscale. Quarant’anni fa un giovane imprenditore doveva sopportare un debito annuale di 295 euro contro gli oltre 910 euro di oggi. E ancora, nel 1982 lo stesso giovane entrava con una pressione fiscale media sotto il 32% mentre oggi patisce il 41,5%. Mettendo insieme debito pro capite attuale e prospettico e pressione fiscale si comprende come si sia instaurato un circolo vizioso che deprime l’autoimprenditorialità: un giovane ha debiti contratti da altri che deve ripagare attraverso un fisco più gravoso.

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