martedì 18 marzo 2025
Il manager di BYD: "L'Italia ancora in corsa per un nostro stabilimento, ma i dazi non aiutano. Se la Cina centrerà i suoi obiettivi in Europa, qualche marchio tradizionale sparirà"
Alfredo Altavilla con Pierluigi Bonora a "ForumAutomotive"

Alfredo Altavilla con Pierluigi Bonora a "ForumAutomotive" - .

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L’Italia ancora in corsa per avere uno stabilimento BYD, "anche se l’atteggiamento poco amichevole verso le auto cinesi non aiuta". Gli errori dell’Europa e "il fallimento del Green Deal". La filiera italiana della componentistica "che sarà una risorsa per il marchio cinese". E i dazi di Trump "penalizzanti ma frutto di una politica più coerente di quella della Von der Leyen". Questo e altro ha sostenuto Alfredo Altavilla, responsabile commerciale per l’Europa di BYD – il Gruppo cinese leader mondiale neella produzione di veicoli ad energia alternativa - intervenuto all’evento promosso a Milano da ForumAutomotive, il movimento di opinione creato dal giornalista Pierluigi Bonora che si batte per una mobilità libera da pregiudizi e ideologie, in occasione del decennale delle sue attività. “Quello che sta succedendo oggi in Cina - dice Altavilla - è totalmente diverso dalla dinamica dell’industria tradizionale con tempi estremamente più veloci, sia per la realizzazione di nuovi impianti sia per l’ideazione e la produzione delle auto. In BYD, ad esempio, i cicli di sviluppo sono molto rapidi, in 18 mesi si passa dall’avvio della pianificazione di una nuova auto al modello finale, grazie all’impiego massivo dell’intelligenza artificiale. L’industria europea in 18 mesi al massimo riesce a ideare il restyling di un modello già esistente. Per questo combattere una guerra con i costruttori cinesi sulle nuove tecnologie è una scommessa perdente per l’Europa.

Quindi sarebbe molto più saggio collaborare con la Cina? Anche a costo di immaginare di perdere qualche marchio storico, tipo Maserati o Alfa Romeo come si vocifera da tempo?

Non è un problema di singoli marchi ma di interi Gruppi industriali. Se la Cina raggiungerà i suoi obiettivi nel vecchio Continente, qualche costruttore europeo potrebbe sparire.

Una volta era l’Europa a comandare l’auto, e il resto del mondo inseguiva. Per quale ragione le posizioni oggi si sono ribaltate?

Tutto quello che viviamo oggi è figlio dello scandalo Dieselgate. E della necessità, soprattutto per l’industria tedesca, di rifarsi una facciata. Inseguendo una legislazione sull’elettrificazione che avrebbe avuto un senso se l’Europa avesse avuto il possesso delle tecnologie necessarie per questo cambio di paradigma. Tecnologie che invece non aveva. Così si continuano a produrre automobili sempre più costose, con i redditi dei consumatori in contrazione e la conseguenza è che il mercato è piatto e quello dell’usato muove due volte e mezzo i volumi di quello del nuovo. E’ questo il modello che vogliamo per la nostra industria e i nostri consumatori? Non credo proprio.

Lei in Fiat era il braccio destro di Sergio Marchionne, scomparso nel 2018, che era molto critico nei confronti dell’elettrico. Cosa pensa che direbbe oggi Marchionne di quanto sta accadendo all’auto?

Sicuramente sarebbe stato affascinato dal progresso tecnologico che ha arricchito il settore. E avrebbe cercato di collaborare con chi è più avanti di noi. Ricordo che molti anni fa, era forse il 2006, andammo a visitare insieme un costruttore in Cina con il quale pensavamo di firmare un accordo. Uscendo dalla fabbrica, Marchionne mi disse: oggi ho visto il futuro, e mi fa molta paura.

Poche settimane fa BYD ha convocato a Torino la filiera italiana della componentistica offrendo opportunità di collaborazione. Che sviluppi avrà tutto ciò?

Incontrare 380 aziende italiane è stata per noi un’occasione importante: la proprietà cinese ne ha apprezzato il livello di competenza perché il livello della nostra componentistica è altissimo. Le abbiamo incontrate perché per le nostre fabbriche europee vogliamo utilizzare fornitori europei. Non imporremo loro di delocalizzare le proprie attività, collocandosi nell’immediata prossimità dei nostri impianti. BYD chiede solo alta tecnologia e velocità di esecuzione. L’Italia ha competitività anche sui costi, che sarebbe ancora migliore se i prezzi dell’energia non fossero così penalizzanti. Posso dire che abbiamo già firmato accordi con Pirelli, Brembo e Prima Industrie per i nostri stabilimenti in Ungheria.

Dopo l’Ungheria, la Turchia è la seconda nazione scelta per avviare fabbriche BYD in Europa. Per il terzo si parla della Germania. Il nostro governo vi corteggia da tempo ma l’Italia è ancora in corsa o non esistono i presupposti?

Il processo di selezione del terzo stabilimento è cominciato e terminerà per la fine dell’anno. Non ci sono decisioni definitive, tantomeno sulla Germania. Certo è che sarà difficile decidere di avviare uno stabilimento in un Paese che non è “amichevole” nei confronti delle auto cinesi, e l’Italia ha votato a favore dei dazi contro la Cina. Certo tutto può ancora cambiare. E da italiano mi auguro che questo accada.

Avete appena annunciato il lancio di un nuovo sistema di ricarica ultraveloce per le auto elettriche: basteranno solo 5 minuti di tempo per avere 300 km di autonomia...

BYD ha da poco lanciato il più grande aumento di capitale degli ultimi 20 anni sulla Borsa di Hong Kong 5,2 miliardi per finanziare nuove tecnologie. La Super e-Platform, insieme alla nuova batteria da 1.000 volt, è solo l’ultima di queste. Ovviamente è una tecnologia che necessita di un’infrastruttura ad alta potenza, che è uno dei tanti fattori limitanti della penetrazione dell’elettrico in Europa. Il PNNR aveva messo a disposizione dell’Italia 660 milioni di euro per costruire stazioni di ricarica. Ne abbiamo dovuti restituire 520 perché non abbiamo fatto in tempo a costruirle. Inutile costruire auto che si ricaricano in 5 minuti se mancano le stazioni adatte per ricaricarle. In Cina, BYD ha pianificato la costruzione di un network di ricarica proprietario. Valuteremo se fare lo stesso anche in Europa.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato da poco il rinvio a tre anni delle multe per i costruttori che sforano i limiti di emissioni di CO2. Ma non ci sono ancora aperture ufficiali verso motori alternativi al 100% elettrico. Come commenta questa decisione, e in generale il Piano Strategico per l’automotive?

La Commissione sta portando avanti la teoria del “cavallo morto” che insegnano nelle Università negli Stati Uniti. Se si è in sella di un cavallo che sta morendo è molto più saggio scendere e cambiarlo piuttosto che insistere con una strategia perdente. La sospensione delle multe decisa dall’UE non ha alcun senso e aumenta le incertezze dell’industria e del consumatore che rinvia l’acquisto e frena il mercato. Ribadisco la mia convinzione: il Green Deal è una scelta sbagliata. E complica il percorso di transizione. Detto da chi lavora per un Gruppo che produce soprattutto auto elettriche ed elettrificate può sembrare sorprendente, ma insistere sull’obbligo del tutto elettrico al 2035 è un obiettivo impossibile da raggiungere. L’apertura almeno all’ibrido Plug-in hybrid è necessaria, sia per l’occupazione e l’industria dei motori termici che rimarrebbe in vita, sia per avvicinare il consumatore all’elettrificazione. E sarebbe anche un compromesso accettabile dal punto di vista ecologico.

Cosa pensa dei dazi minacciati da Trump negli Stati Uniti sulle auto straniere?

La politica di Trump su questo tema in realtà è in linea con quella di Biden. Ed è alla fine più costruttiva di quella di altri Paesi. Lui offre tutte le migliori condizioni per andare a costruire automobili negli Usa: chi non accetta, paga i dazi. E’ una posizione estrema, ma legittima nell’ottica di difesa degli interessi americani. In Europa invece si è fatto il contrario: si chiede di attivare investimenti, ma prima di pagare i dazi. E senza attivare nessun sostegno. Così l’Europa non è attrattiva, e l’unica conseguenza dei dazi è che i prezzi delle auto sono aumentati.

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