giovedì 26 febbraio 2015
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​Ultima chiamata per provare a modificare la contestata riforma delle banche popolari. Scade infatti oggi alle 14 il termine per la presentazione degli emendamenti al decreto legge, battezzato Investment compact, con cui lo scorso 24 gennaio il governo Renzi ha deciso, tra le altre cose, di obbligare le prime dieci banche popolari per attivi superiori agli otto miliardi di euro a trasformarsi entro 18 mesi in società per azioni. Abbandonando soprattutto il sistema del voto capitario, che finora ha consentito ai soci delle popolari di contare tutti allo stesso modo. Un metodo che ha altresì evitato scalate e concentrazioni e ha consentito di mantenere il più possibile un forte legame con il territorio, garantendo così un’attività creditizia che, soprattutto nel difficile periodo della crisi economica tuttora presente, si è dimostrata vitale per le piccole e medie imprese e per le famiglie. Ora, una volta presentati gli emendamenti, che si preannnunciano numerosi, l’attività in commissione Finanze e Attività produttive si protrarrà fino alla prossima settimana quando si inizierà a votare e l’esame del decreto e degli emendamenti entrerà nel vivo. Dopodiché il decreto andrà in aula per la discussione e diventare legge. Ma quali sono al momento i punti più delicati e dirimenti? Tra le proposte di modifica in commissione, dice il relatore Marco Causi del Pd, si sta «ragionando di seguire l’indicazione arrivata dall’Antitrust» ovvero, come indicato dal presidente Giovanni Pitruzzella in audizione, sostituire il criterio quantitativo degli 8 miliardi con un criterio qualitativo costituito dalla quotazione in Borsa. Oppure l’appartenenza a un gruppo bancario all’interno del quale vi siano società in forma di Spa. Oppure, ancora, adottare la «soglia europea». A spiegare questa soluzione è Stefano Fassina, esponente della sinistra Pd, riferendo che alla riunione di martedì del suo gruppo impegnato a discutere del decreto sulle popolari qualcuno ha parlato di «sostituire il limite degli 8 miliardi con una soglia Bce di 30 miliardi di euro di attivi». In ogni caso, «un compromesso – aggiunge Fassina – potrebbe essere quello di limitare il diritto di voto o le quote di possesso quando avviene la trasformazione in Spa» perché «deve essere chiaro che è in gioco il credito alle piccole imprese» e c’è «il rischio che dall’estero vengano a prendere i risparmi ancora copiosi di molti territori».Una modifica in questo senso, però, non potrebbe che muoversi in linea con le indicazioni di Bankitalia, che aveva aperto alla possibilità di introdurre paletti al diritto di voto in assemblea (si starebbe ragionando su una percentuale del 3%): quindi dovrebbero essere limiti «transitori, derogabili e assoggettati alla vigilanza della Banca d’Italia» per «accompagnare la fase di transizione».Il dibattito insomma ferve e il malcontento sul decreto della discordia è altissimo e trasversale. «Sul dl banche popolari il compromesso sulla soglia non può essere trovato soltanto adottando come criterio quello proposto dall’Antitrust» sbotta il deputato di Area popolare (Ncd-Udc) Alessandro Pagano, componente in commissione Finanze. «Il risparmio in Italia vale 4mila miliardi di euro e viene raccolto per il 25% dalle banche popolari. È molto verosimile quindi – prosegue Pagano – che, stando al decreto di Renzi, queste risorse potranno essere sottratte con operazioni dall’estero. Questo perché solo le banche straniere potranno investire nelle banche italiane, non esistendo i fondi pensione, mentre le altre banche italiane non dispongono di adeguata liquidità».Anche per il deputato di Forza Italia Luca Squeri con il decreto sulle banche popolari «c’è in ballo lo stravolgimento di una formula che ha garantito credito alle piccole e medie imprese sul territorio in una situazione di dura crisi economica. Il rischio, ora, è che l’intero sistema venga consegnato nelle mani dei grandi speculatori, con tanto di pacchetto dono».Al di fuori del fronte parlamentare, duro è infine il giudizio del segretario generale della Cisl, Anna Maria Furlan, secondo la quale il decreto sulle banche popolari è un «grave errore del governo», con cui  «si rischia di cancellare l’unica forma di partecipazione oggi presente nel sistema finanziario».
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