ha inizio il
Consiglio Permanente nel giorno dei “missionari martiri”, ormai nel cuore della
Quaresima, e ci lasciamo quindi guidare dalla vivente memoria di quanti hanno
dato la vita per la predicazione del Vangelo fino ai confini del mondo. Ma
anche dal Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato alla Chiesa in
preparazione alla Pasqua, vertice e fonte dell’Anno liturgico.
Siamo grati al
Papa che ha onorato la nostra Conferenza con un nuovo membro del Collegio
Cardinalizio, S.Em. il Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia -
Città della Pieve e Vice Presidente della CEI: al neo porporato, del quale
apprezziamo la “sapientia cordis”, esprimiamo la nostra gratitudine, e assicuriamo la nostra
preghiera perché – con l’intero Collegio – possa coadiuvare più da vicino il
Successore di Pietro nella sollecitudine “omnium ecclesiarum”. Il nostro
ricordo orante è anche suffragio per S.E. Mons. Giuseppe Agostino, Arcivescovo emerito di Cosenza -
Bisignano e già Vice Presidente della CEI, che quest’oggi ha concluso il
suo pellegrinaggio terreno.
1. Quaresima,
tempo di grazia
Cristo “si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per
mezzo della sua povertà” (2 Cor
8,9): è questo il titolo del Messaggio quaresimale. Il Santo Padre subito ci
ricorda che queste parole indicano innanzitutto con quale stile Dio opera nella storia: “Dio non si rivela con i mezzi della
potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della
povertà” (Papa Francesco, Messaggio per
la Quaresima 2014). A questo stile divino la Chiesa deve continuamente
guardare in quel percorso mai concluso di conversione del suo modo di essere
tra gli uomini. È con tale spirito che anche noi continueremo il compito di
revisione dello Statuto, dopo la
prima tappa dell’ultimo Consiglio Permanente di gennaio. In quei giorni abbiamo
sperimentato ancora una volta la passione e la responsabilità per la nostra
amata Conferenza, ed abbiamo esaminato con puntuale attenzione e metodo il
ricco materiale pervenuto dalle Conferenze Episcopali Regionali. Così come
affronteremo due Note di rilievo,
rispettivamente per la Scuola Cattolica,
vero patrimonio del Paese, e per l’Ordo
Virginum, nuovo carisma per la
Chiesa.
L’amore per
gli uomini peccatori conduce Dio a rivestirsi della nostra povertà – Lui, senza
peccato – ma non per fermarsi ad essa, bensì per arricchirci: se la povertà di
Cristo è “il suo farsi prossimo a noi come il Buon Samaritano”, la sua
ricchezza è l’affidarsi a Dio Padre in ogni momento fino al culmine della
croce. È qui, sul Calvario, il punto in cui la povertà di Gesù s’incontra con
la sua ricchezza, e ci salva dal peccato della superbia e dell’autosufficienza.
In altre parole, “la ricchezza di Gesù è il suo essere Figlio”.
In questa
prima parte del Messaggio siamo ricondotti salutarmente al cuore del Vangelo,
alla sorgente della gioia cristiana: Dio non è solamente Creatore, ma anche
Padre, e nessuno quindi è orfano. Se in tempi recenti forse vi era il rifiuto
del “padre” – categoria che esprime ogni legame di riferimento e di valore –
oggi la situazione sembra rovesciata: a tutti i livelli e età pare che vi sia
la ricerca del “padre”, cioè di
punti di riferimento veri e credibili, che aiutino l’orientamento dentro ad una
nuova Babele. Ritorna l’invito ad “uscire” da piccoli porti e a prendere il
largo, perché il bene tende a espandersi e la gioia a condividersi perché sia
più grande. È la missionarietà a cui
il Santo Padre continua ad incoraggiare l’intera Chiesa.
Nella seconda
parte, il Messaggio riflette sulla testimonianza:
infatti “Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di
Cristo, il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa,
che è un popolo di poveri” (id). E
affronta tre tipi di povertà umane: la miseria materiale, quella morale e
infine quella spirituale. Tra queste miserie vi è, non di rado, una rete più o
meno evidente di relazioni causali e di reciproco rafforzamento.
2. Miseria materiale
“La
miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca
quanti vivono in una condizione non degna della persona umana” (id). Ci portiamo – come sempre – in
mezzo alla nostra gente, di cui condividiamo le speranze e le ansie in questo
tempo particolarmente pesante. Ormai, sono passati più di sei anni dall’inizio
della grave crisi economica, che chiede
un prezzo altissimo al lavoro e all’occupazione. In modo speciale, si
riversa come una tempesta impietosa sui giovani
che restano, come una moltitudine, fuori della porta del lavoro che dà
dignità e futuro. Essi, a dire il vero, anche di recente mostrano una grande
pazienza, e danno prova d’intraprendenza grazie alla genialità che spesso
caratterizza l’età giovanile. Ma ciò non è sufficiente se non vi è un tessuto
industriale pronto a riconoscerne i pregi, a recepirne i risultati e a metterli
in circolo su scala. Senza dimenticare quanti – non più in giovane età – hanno
perso il lavoro e spesso si trovano esclusi da ogni circuito lavorativo e con
la famiglia sulle spalle. Come su un binario parallelo e virtuoso, è necessario
incentivare i consumi senza ritornare
nella logica perversa del consumismo che divora il consumatore. Ma è
altresì indispensabile sostenere in modo
incisivo chi crea lavoro e occupazione in
Italia, semplificando anche le inutili e dannose burocrazie. Se non si
velocizzano i processi e non si incentiva, si scoraggia ogni intrapresa vecchia
e nuova. Bisogna ripensare e rimodulare
anche la concezione del lavoro: il vecchio schema di dura contrapposizione
è superato e rischia di danneggiare i più deboli. È necessario promuovere
sempre più una mentalità partecipativa e collaborativa dentro ai luoghi di
lavoro, una visione per cui i diversi ruoli sono distinti ma non separati,
perché tenuti insieme da un comune senso di appartenenza e di responsabilità
verso il proprio lavoro, la famiglia, l’azienda, la società e il Paese. Con la
responsabilità accorata di Pastori, auspichiamo che il nuovo Governo – con la
partecipazione convinta e responsabile del Parlamento – riesca a incidere su sprechi e macchinosità
istituzionali e burocratiche, ma soprattutto a mettere in movimento la crescita e lo sviluppo, in modo che
l’economia e il lavoro creino non solo profitto, ma occupazione reale in
Italia.
La povertà –
ci dice il Rapporto 2014 della nostra
Caritas sulla povertà e l’esclusione
sociale in Italia intitolato “False partenze”, di imminente presentazione –
è in rapido e preoccupante aumento: sembra di essere in prima linea su una
trincea più grande di noi, anche se sappiamo che la Chiesa non è chiamata a
risolvere tutti i problemi sociali, ma a contribuire al meglio nello spirito di
Cristo buon Samaritano. Comunque, gli sforzi delle 220 Caritas diocesane e
degli 814 Centri di ascolto si sono moltiplicati, e le iniziative sono in
quattro anni raddoppiate registrando un aumento impressionante di italiani che
bussano alla porta, così come di gruppi sociali che fino ad oggi erano estranei
al disagio sociale. I fondi diocesani di solidarietà aumentano dell’11%, e gli
sportelli, per aiutare la ricerca del lavoro o della casa, sono giunti a 216.
Si registrano anche gravi e crescenti difficoltà derivanti purtroppo dalla rottura dei rapporti coniugali, sia a
livello occupazionale che abitativo. Il 66,1 % dei separati dichiara di non
riuscire a provvedere all’acquisto dei beni di prima necessità. A questi dati
di ordine materiale si devono aggiungere quelli di tipo relazionale tra padri e
figli: il 68% dichiara che la separazione ha inciso negativamente su tale
rapporto. Come Vescovi, vogliamo incoraggiare il servizio delle nostre Caritas
e dei Centri di ascolto, come di tutte le 25.000 Parrocchie e delle molte
Aggregazioni: è uno spiegamento di persone e di risorse che umilmente affronta
un’onda sempre più grande e minacciosa. Il prossimo Convegno Nazionale a
Cagliari sarà l’occasione per scambiare esperienze e speranze, ma soprattutto
per rinnovare motivazioni e fiducia alla luce dei sentimenti di Cristo.
3. Miseria morale e spirituale
“La
miseria morale (…) consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato (…)
Questa forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega
sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e
rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo
ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su
una via di fallimento” (id).
La
religione è un “legame” con Dio, un vivere riferiti a Lui, un camminare nella
sua Parola di amore e di vita, altrimenti si riduce a sentimento e emozione. L’autosufficienza è la forma sostanziale di ogni peccato, da quello originale a
quelli personali: i diversi peccati non sono che rivestimenti della stessa radice che è il porsi con
alterigia davanti a Dio, anziché porsi con fiducia con Dio. Per questa ragione
bisogna che, sia il primo annuncio che la catechesi, abbiano al cuore il
Kerygma: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo
al tuo fianco ogni giorno per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”
(Papa Francesco, Evangelii gaudium, 164).
Gesù dice le parole di Dio, capaci di rispondere all’uomo che desidera la
felicità. Per questo si offrono come “regola
di vita”: non come norma esterna ed estranea, ma come ciò che dà voce e
corpo all’uomo nel suo essere universale, una freccia incandescente puntata
verso l’infinito. E per questo perennemente inquieta! Non è forse questa la
ragione più plausibile per cui le parole
di Dio risuonano corrispondenti al “cuore universale” oltre latitudini, tempi,
situazioni?
4. Violenza accattivante
delle ideologie
Le
ideologie deformano la comprensione che la ragione e il cuore hanno della
realtà; facendo di un’idea particolare un assoluto, piegano forzosamente ogni
principio, cosicché esso fatica ad essere riconosciuto come un valore. Ne abbiamo un chiaro esempio in
Occidente dove – se in decenni passati si poteva parlare di tramonto delle
ideologie – oggi dobbiamo riconoscerne il ritorno, magari sotto vesti diverse,
ma con la medesima logica e arroganza. Tra gli altri, un segno sta nel fatto
che l’obiezione di coscienza è ormai
sul banco europeo degli imputati: non è più un diritto dell’uomo? E l’Europa dà
al mondo un esempio di comunità di Popoli, ciascuno con un proprio volto e
storia? E perché accade che in Europa alcune serie “raccomandazioni” sono tranquillamente
disattese, mentre altre – non senza ideologismo – vengono assunte come vincoli
obbliganti?
L’occidente non è più il centro del mondo!
E il Sud della Terra preme alla tavola della dignità e della giustizia. Altri
continenti e culture ne apprezzano tecnologia e benessere, ma guardano
all’occidente con sospetto e fastidio per quella specie di neocolonialismo
culturale, che vuole imporre con mezzi
spesso ricattatori: finanziamenti in cambio di leggi immorali, contrari alle
identità di popoli e nazioni che vogliono mantenere le proprie radici. È questo
il cammino della civiltà? Sarebbe una strada che rinnova o genera sordi
rancori, e che prima o poi presenterebbe il conto. Se l’umanesimo plenario ha
avuto la sua origine nel grembo europeo, e ha ispirato le grandi Carte internazionali,
non è detto che trovi ancora in quel ceppo, tagliato dalle sue origini
cristiane, la linfa ispiratrice. Se
l’occidente vuole corrompere l’umanesimo, sarà l’umanesimo che si
allontanerà dall’occidente e troverà – come già succede – altri lidi meno ideologici
e più sensati. Il Vangelo è per tutti ma non è incatenato a nessuno, è storico
e metastorico. L’erosione sistematica dell’impianto culturale umanistico,
usando come grimaldello l’impazzimento dell’individuo con le sue pretese
solipsiste, è una espressione triste di quella miseria morale e spirituale di
cui parla il Santo Padre. Chiudere gli occhi sarebbe far finta di non vedere,
come fece il levita sulla via di Gerico. È in questa prospettiva e con questo
spirito che “i Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il
diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone,
dal momento che il compito della evangelizzazione implica ed esige una
promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la
religione deve limitarsi nell’ambito del privato” (id. 182).
5. Iperindividualismo
Come è grande
e antica la presenza operosa della Chiesa accanto a tutte le povertà materiali
della gente e dei popoli, così è grande e convinta la sua attenzione a tutto
ciò che corrompe la mente e il cuore, rende smarrita e confusa la persona sulla
sua identità, sul valore della vita umana in tutte le sue fasi, dal
concepimento alla nascita, dalla crescita alla piena maturità, dal declino fino
alla morte naturale: “La difesa della vita nascente è intimamente legata alla
difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è
sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo
sviluppo. (…) Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti
fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle
convenienze contingenti dei potenti di turno” (id. 213). Seminare e codificare errori su queste realtà fa incerti
e fragili i rapporti, alimenta diffidenze in chi si trova nel bisogno e nella
dipendenza, rende individualista la società. Tutto ciò è la premessa – forse
prevista e voluta – perché i più forti e senza scrupoli possano manipolare e
piegare persone e Nazioni ai propri interessi. Bisogna andare contro la
corrente di un individualismo scellerato che – applicato ai vari campi
dell’esistenza privata e pubblica – porta a camminare sulla pelle dei poveri, a
non aver tempo di fermarsi accanto alle moltitudini ferite sulla via di Gerico.
È una visione iperindividualista
all’origine dei mali del mondo, tanto all’interno delle famiglie quanto
nell’economia, nella finanza e nella politica. Ma il sentire profondo del
nostro popolo è diverso. Come Pastori, che hanno la grazia di vivere con la
gente, ne conosciamo l’impegno nei doveri quotidiani, il senso profondo della
famiglia, la solidarietà nelle relazioni, l’autentico eroismo nella dedizione
ai malati e agli anziani, la passione responsabile nell’educazione dei figli. È
questa rete virtuosa che sostiene il Paese e la speranza nel futuro. La
ripresa, giustamente invocata, sarà un’illusione senza una rinascita morale e
spirituale; e ciò sarebbe tanto più grave perché la dura lezione della crisi
sarebbe stata vana, pagata soprattutto dai deboli. Bisogna accelerare la conversione dall’io al noi e dal mio al
nostro: non certo nel senso che non esistono più l’io e il mio, ma nel
senso che mai più dovranno essere intesi come degli assoluti, cioè slegati dal
resto del mondo fatto di “altri”: persone, istituzioni, aziende, Paesi. Un
mondo fatto da stagioni diverse, come l’efficienza dell’età adulta, l’infanzia
e la giovinezza, la malattia e la vecchiaia. Un mondo fatto di aree diverse di
sviluppo e risorse, di ricchi e di poveri, di giustizia e di ingiustizia, di diritti
umani proclamati e di fatto violati, come ad esempio i diritti del bambino, oggi sempre più aggredito:
ridotto a materiale organico da trafficare, o a schiavitù, o a spettacolo
crudele, o ad arma di guerra, quando non addirittura esposto all’aborto o alla
tragica possibilità dell’eutanasia. Ciò grida vendetta al cospetto di Dio. O
anche la tratta delle donne, la
violazione – a volte fino alla morte – della loro dignità. In un mondo che si
definisce evoluto e civile, quante sono ancora le forme di violenza e di
barbara criminalità che assume anche
forme organizzate e mafiose, come è stato ricordato nei giorni scorsi dal Santo
Padre incontrando i familiari delle vittime nella Parrocchia romana di San
Gregorio! Anche la libertà religiosa
è ancora perseguitata in troppe regioni del mondo, e da non poche parti del
pianeta continuano a salire rumori di
conflitto che devono essere affrontati con le armi della preghiera e del
dialogo onesto senza altri interessi. A tanti nostri fratelli e sorelle in
umanità e spesso nella fede, che sono anche vicinissimi perché parte del nostro
Continente – come il popolo ucraino – da questa simbolica sede vogliamo far
pervenire la nostra vicinanza di Pastori, perché le ansie e le sofferenze, i
diritti e le speranze di tutti trovino casa nella giustizia e nella pace. Anche
per questo, la comunità cristiana ha aderito con gratitudine all’iniziativa di
Papa Francesco, per 24 ore di adorazione
e riconciliazione in tutte le Diocesi.
6. Educare intelligenza e cuore
Come sappiamo,
l’annuncio di Cristo è fondamento e criterio dell’educazione delle intelligenze
e dei cuori, una educazione integrale che la scuola è chiamata a offrire: “Il
compito educativo è una missione chiave”, affermava recentemente il Santo Padre
(Discorso ai Superiori Generali degli
Istituti maschili di vita religiosa, 29.11.2013). E noi, Vescovi Italiani,
con rinnovato impegno camminiamo nella via del decennio che abbiamo dedicato a
questa missione. Per questo, con tutte le persone di buona volontà e di retto sentire,
guardiamo all’appuntamento del 10 maggio
prossimo in piazza San Pietro con il Papa. Davanti a Lui e con Lui,
riaffermeremo l’urgenza del compito
educativo; la sacrosanta libertà dei
genitori nell’educare i figli; il grave dovere della società – a tutti i
livelli e forme – di non corrompere
i giovani con idee ed esempi che nessun padre e madre vorrebbero per i propri
ragazzi; il diritto ad una scuola non
ideologica e supina alle mode culturali imposte; la preziosità
irrinunciabile e il sostegno concreto alla scuola
cattolica. Essa è un patrimonio storico e plurale del nostro
Paese, offrendo un servizio pubblico seppure in mezzo a grandi difficoltà e a
prezzo di sacrifici imposti dall’ingiustizia degli uomini: ingiustizia che i
responsabili fanno finta di non vedere pur
sapendo – tra l’altro – l’enorme risparmio che lo Stato accantona ogni
anno grazie a questa peculiare presenza. È in questo orizzonte che riaffermiamo
il primato della persona, e quindi la tutela che si deve ad ogni persona
specialmente se in situazione di fragilità – contro ogni forma di
discriminazione e violenza. E nello stesso tempo non possiamo non ricordare il
grave pericolo che deriva dallo stravolgere o disattendere i fondamentali fatti
e principi di natura che riguardano i beni della vita, della famiglia e dell’educazione. La preparazione alla grande
Assise del Sinodo sulla Famiglia, che si celebrerà in due fasi nel 2014 e nel
2015, nonché il recente Concistoro sul medesimo tema, hanno provvidenzialmente
riposto l’attenzione su questa realtà tanto “disprezzata e maltrattata”, come
ha detto il Papa: commenterei, “disprezzata” sul piano culturale e “maltratta”
sul piano politico. Colpisce che la famiglia sia non di rado rappresentata come
un capro espiatorio, quasi l’origine dei mali del nostro tempo, anziché il
presidio universale di un’umanità migliore e la garanzia di continuità sociale.
Non sono le buone leggi che garantiscono la buona convivenza – esse sono
necessarie – ma è la famiglia, vivaio
naturale di buona umanità e di società giusta. In questa logica distorta e
ideologica, si innesta la recente iniziativa – variamente attribuita – di tre
volumetti dal titolo “Educare alla diversità a scuola”, che sono approdati
nelle scuole italiane, destinati alle scuole primarie e alle secondarie di
primo e secondo grado. In teoria le tre guide hanno lo scopo di sconfiggere
bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a “istillare” (è
questo il termine usato) nei bambini preconcetti contro la famiglia, la
genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre…parole
dolcissime che sembrano oggi non solo fuori corso, ma persino imbarazzanti,
tanto che si tende a eliminarle anche dalle carte. È la lettura ideologica del “genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare
tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni. Viene da
chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei “campi di
rieducazione”, di “indottrinamento”. Ma i genitori hanno ancora il diritto di
educare i propri figli oppure sono stati esautorati? Si è chiesto a loro non
solo il parere ma anche l’esplicita autorizzazione? I figli non sono materiale
da esperimento in mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti. I genitori non si facciano intimidire,
hanno il diritto di reagire con determinazione e chiarezza: non c’è autorità
che tenga. Anche il fenomeno dell’“alcol
estremo” – cioè di bere fino allo sfinimento o peggio – non può lasciare
indifferente nessuno, tranne chi si arricchisce sul male degli altri. Si
dovrebbe, invece, sprigionare nell’intera società un brivido di rifiuto e di
seria preoccupazione, tale da provocare investimenti seri di risorse umane,
economiche e valoriali, ben più meritorie rispetto a iniziative ideologiche e
maldestre.
Cari
Confratelli, mentre rinnoviamo la nostra lode al Signore della vita e della
gioia, ci disponiamo ai lavori che ci attendono con generosità e fiducia. San
Giuseppe, Patrono della Chiesa universale, del quale abbiamo appena celebrato
la solennità, ci guardi e ci guidi. Egli ci assicura, come nella casa di
Nazaret, la presenza calda e rassicurante della Sacra Famiglia.