martedì 18 dicembre 2012
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Non è certo casuale che Benedetto XVI abbia scelto come suo account Twitter Pontifex: anche la rete è un luogo nel quale e a partire dal quale costruire ponti, che uniscano le persone tra loro e a Cristo. E proprio da questo movimento "verticale" si può trarre la forza e l'intensità per il "lavoro" orizzontale. Non sono mancate, in occasione del primo tweet del Papa e in particolare in riferimento alla possibilità di formulare domande attraverso l'hashtag "chiedilo al Papa", anche alcune perplessità e persino polemiche. Ci si è interrogati su opposte posizioni circa l'utilità, l'opportunità e ancor prima il senso di una presenza così innovativa, e per taluni incomprensibile se non inopportuna. Rispondere alle domande che si sono via via infuocate può essere un esercizio utile per mettere a fuoco il valore di una presenza che non è priva di rischi, ma insieme di opportunità. Twitter espone il Papa al pubblico ludibrio? Il Papa, che come capo della Chiesa continua l'abbraccio di Gesù al mondo, non può certo stare riparato per salvaguardare la propria immagine. Sceglie invece di entrare nelle piazze, anche quelle digitali, perché proprio questo esporsi è segno dell'autenticità delle sue intenzioni, e diventa quindi testimonianza. In un mondo in cui vige la regola della spirale del silenzio (si dice solo ciò che è conforme all'opinione dominante e si tace il dissenso per non essere emarginati) che rischia di trasformare ogni ambiente, compreso quello digitale, in una "stanza degli echi" in cui ciascuno ascolta solo i messaggi che gli assomigliano, il Papa coraggiosamente rompe le invisibili barriere tra le cerchie, e questo non può non gettare scompiglio. 
Cerchiamo continuamente di ricreare – anche attraverso l'insulto, se occorre – i confini che ci proteggono lasciando le cose come stanno; ma la buona notizia spariglia il dato di fatto e abbatte i confini, proprio perché la si porta anche laddove non ci si aspetta l'applauso. Per questo Gesù non ha avuto paura – o se l'ha avuta non se ne è lasciato paralizzare – di esporsi agli insulti, agli sputi, a coloro che gli strappavano la barba e persino alla morte destinata ai peggiori malfattori. La verità la si comunica prima di tutto con la presenza, la vicinanza e l'amore. Dovunque l'uomo si trovi. E anche al prezzo di umiliare se stessi. Perché solo chi è disposto all'umiltà (da humus, vicino alla terra) sarà esaltato. Solo passando dall'umiltà e dalla testimonianza oggi l'autorità può risultare autorevole, credibile, in mezzo a tante voci disordinate. È poi legittimo chiedersi, come hanno fatto in molti, se la forma breve di un tweet, che apparentemente suggerisce una parentela più stretta con lo slogan pubblicitario che con il versetto evangelico, sia un "medium" adeguato al "messaggio", o, viceversa, una riduzione che lo tradisce e lo mortifica. Su questa e altre critiche molte voci autorevoli si sono già espresse, come quella del direttorie di Civiltà Cattolica padre Spadaro e quella del segretario del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, monsignor Tighe, il quale ha ricordato che «l'essenza dell'insegnamento biblico è breve», e che il linguaggio biblico è conciso, stringato, e per questo più incisivo. E va comunque ricordato che i tweet del Papa non sono "oracoli", bensì inviti. Non sono slogan, che pretendono di ridurre in pillole la dottrina cristiana, ma parole-soglia, per avvicinare i lontani e aprire loro una prospettiva diversa. Non sono "idoli", termini che contengono già in sé tutto il significato, ma "simboli", che mentre costituiscono di per sé una forma di vicinanza sollecita, rinviano a un'unità di comunicazione molto più ampia e "crossmediale", di altro respiro (dall'Angelus ai messaggi come quello per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni, alle encicliche). Resta il fatto che lo sforzo di chiarezza e semplicità è perfettamente conforme al linguaggio evangelico e ne costituisce un'attualizzazione capace di cogliere i segni dei tempi. Molte obiezioni che in questi giorni sono state rivolte sono dunque in realtà preziose occasioni per riflettere – rendendola ancora più efficace – sul significato di questa scelta. Per esempio, l'obiezione che il Papa è su Twitter ma non "segue" nessuno e dunque non rispetta le regole e lo spirito dei social network. Non è compito del Papa "stare al gioco": casomai entrare nel gioco per sovvertirne la logica, come ha fatto Gesù nei contesti inusuali – e per molti inappropriati – che ha visitato (Tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!», Lc 19,7: e non è stato certo per unirsi alla compagnia!). Se nell'era del "sé quantificato", delle metriche della popolarità, della tirannia del klout l'obiettivo è moltiplicare i follower del proprio account (che si possono anche "acquistare", o incrementare con "trucchi" ampiamente disponibili in rete), il Papa sceglie di entrare in questo ambiente in modo inusuale: per esempio con una distanza tra la presenza (3 dicembre) e la comunicazione (12 dicembre), per valorizzare il significato dell'attesa, con una relazione che passa dall'essere-con prima ancora che dalle parole. Un milione di follower prima del primo tweet è forse un segnale che questo messaggio silenzioso, anche solo per curiosità, è stato ricevuto. Come ancora ha sostenuto Tighe, «il vero gioco non riguarda i followers del Papa. Riguarda piuttosto il modo di raggiungere persone che possono essere toccate, sostenute, incoraggiate dalle parole del Vangelo. Se ci sono follower, sono follower di Cristo». Essere seguiti, ma non per se stessi, è un "altro" modo di stare sulla rete, in forma paradossale. Le obiezioni sulla "non conformità" della presenza del Papa non possono non fare i conti con l'eccentricità intrinseca della presenza cristiana, che Gesù ci ha insegnato: nel mondo ma non del mondo. In questo caso, nel Web ma non del Web. Presenza, ma libera dai condizionamenti della netiquette e dalle logiche, così facilmente strumentalizzabili, dei social network. E, magari, capace di ridefinirle, nel tempo, in una direzione più human-friendly. I tweet del Papa sono il modo della sua presenza e della sua vicinanza, le porte alle quali ci si può anche solo affacciare per curiosità, come stanno facendo in tanti. Ma lo spazio digitale è anche uno spazio di ascolto, e l'orecchio è l'hashtag askpontifex, che consente di seguire non le singole persone, ma le domande che nella piazza digitale risuonano, e raccogliere quelle sincere per poter orientare le "proposte" attraverso i tweet. Lo scopo del Papa non è stare al gioco dei social network, ma essere presente con sollecitudine, in un ambiente sempre più importante per un numero sempre maggiore di persone. E questa, a sua volta, è una delle ulteriori ragioni di critica. La rete è, secondo molti, un ambiente insidioso, a rischio inautenticità. Perché dunque il Papa non se ne astiene? In realtà questa è un'obiezione che accompagna sin dall'inizio la riflessione sui social network, ma che rischia di restare vittima di una doppia ingenuità: non riconoscere che qualunque ambiente di relazione interumana è a rischio inautenticità («Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate lunghe preghiere per mettervi in mostra», Mt 23,14); e attribuisce alla rete il potere di determinare la qualità del nostro ambiente relazionale (quello che si definisce "determinismo tecnologico"), senza considerare che siamo noi, con la nostra libertà e responsabilità, a dare forma all'ambiente, pur dovendo tener conto delle sue caratteristiche. L'esperienza della Rete ci fa sperimentare oggi la compenetrazione tra materiale e digitale, tanto più quanto più il baricentro è sulla persona e le relazioni anziché sulla tecnologia: da questa prospettiva antropocentrica e relazionale il dualismo (che vede il digitale come il luogo dell'inautenticità, o della realtà impoverita che compete con quella "vera") non ha più ragion d'essere. E anche in questo ambiente oggi la voce dei cristiani è importante, perché in virtù della loro fede essi sanno insieme essere realisti (cogliere i segni dei tempi al di là delle apparenze più evidenti) e profetici (anticipare il cambiamento secondo quello che Flannery o' Connor definisce un «realismo delle distanze»). Lo sguardo della fede ci offre dunque una prospettiva critica (capace di discernimento), né tecno-entusiasta né tecno-pessimista, e uno sguardo realista non appiattito sul dato di fatto. Il digitale è parte di un'unica realtà. E la realtà, i cristiani lo hanno sempre sostenuto contro ogni riduzionismo (non ultimo quello materialista, che la rete aiuta a mettere in discussione), è molteplice e complessa nella sua unità. ​
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