Il vescovo di Kiev, monsignor Krivitskiy, mentre incontra una classe - Dal profilo Facebook
«Sarebbe una gioia straordinaria poter accogliere papa Francesco a Kiev. Ma al momento ritengo che non ci siano le condizioni per la visita». Ha la voce pacata il vescovo Vitaliy Krivitskiy. Dal 2017, proprio per volontà di papa Bergoglio, guida la diocesi di Kiev-Žytomyr: 8 milioni di abitanti dove i cattolici di rito latino sono poco più di 200mila. Quando racconta la guerra vista dalla capitale dell’Ucraina, parla non solo di bombardamenti, vittime o territori invasi, ma anche di un «clima di odio e di rancore che ha contagiato i cuori della gente». E subito aggiunge: «Lo avvertiamo nelle conversazioni, nei dialoghi, persino nel confessionale. Come pastori non è facile accompagnare il nostro popolo mentre ancora si sperimentano le pressioni dei combattimenti e i dolori o le divisioni lacerano l’anima e l’opinione pubblica. C’è un desiderio di vendetta non solo in chi è rimasto qui, ma anche in quanti sono fuggiti all’estero. Ecco, invocare il Dio della pace significa chiedere sia che la sua mano potente fermi il conflitto, sia che risani le ferite dello spirito causate da una tragedia come questa».
Vitaliy Krivitskiy, vescovo latino di Kiev - Dal profilo Facebook
Originario di Odessa, il vescovo Krivitskiy compirà ad agosto 50 anni. È salesiano e ha conosciuto l’istituto fondato da don Bosco negli anni del regime sovietico quando ha iniziato la sua formazione “clandestina”. È diventato prete in Polonia, anche se poi tutto il suo ministero sacerdotale ha avuto come sfondo l’Ucraina. «Prevale la sensazione che Mosca voglia conquistare tutto il nostro Paese o forse arrivare addirittura alla distruzione totale. È un’ideologia imperiale quella che domina l’agire del Cremlino».
Eccellenza, il Papa ha ribadito che vuole essere in Ucraina e lo farà non appena la situazione glielo permetterà. È possibile ipotizzare quando?
Direi di no. L’intenzione del Pontefice di essere in mezzo a un popolo che soffre è per noi cattolici, a cominciare da me vescovo, motivo di grande speranza. Sentiamo la sua vicinanza che si manifesta attraverso i suoi ripetuti appelli al cessate il fuoco e con gesti concreti che si sono tradotti anche in molteplici invii di aiuti umanitari. E poi c’è la sua continua preghiera che coinvolge tutta la Chiesa. La sua visita ci darebbe ulteriore coraggio, ma ha necessità di così elevate misure di sicurezza che non siamo in grado di garantire mentre ancora si susseguono gli attacchi e i nostri soldati sono tutti impegnati al fronte per difendere la nazione. Va anche aggiunto che, rispetto all’inizio del conflitto, una parte della popolazione non ha ben accolto alcune parole del Papa che sono state ritenute errate. Quindi occorre ricostruire anche un “consenso” intorno al suo viaggio. Tutto questo mi fa dire che serve tempo.
Il Papa può contribuire a fermare il conflitto?
Sicuramente. La Santa Sede può svolgere un fondamentale ruolo di mediatore fra noi e la Russia. Le trattative hanno necessità di “conciliatori” e il Papa lo è, nonostante qualcuno qui non lo consideri più <+CORSIV50R>super partes<+TOND50R>. Sono certo che il Pontefice e l’intera diplomazia vaticana stiano seminando perché si crei un ambiente di dialogo che è premessa per aprire i negoziati.
Il vescovo di Kiev davanti a una parrocchia - Dal profilo Facebook
I missili continuano a cadere. Anche su Kiev.
Qualche giorno fa siamo stati svegliati dai bombardamenti. Grazie al cielo, nessuno dei nostri fedeli è rimasto ferito benché ci abbiano raccontato di aver visto i vetri delle finestre delle loro case andare in frantumi per le esplosioni. Comunque, almeno nella capitale, si percepisce un’atmosfera meno tesa, anche se l’incubo della guerra incombe ogni giorno. Dal punto di vista psicologico il peso è enorme. Tuttavia qualche piccolo segno positivo si capta. Uno è il “controesodo”, se così possiamo chiamarlo. Chi ha lasciato le nostre città all’inizio dell’invasione russa sta tornando. Si presentano anche possibilità di lavoro. Ma la maggioranza della popolazione è in grave difficoltà sia per le gravi condizioni economiche, sia per l’impennata dei prezzi. Quindi, se da una parte la vita si rinnova nei territori della diocesi, dall’altra gli effetti della guerra sono pesantissimi.
Che cosa vuole Putin dall’Ucraina?
Vuole fermarla. Non sopporta che sia diventata indipendente e che attraversasse un periodo di sviluppo. Questa guerra è stata preparata da anni, anche con una massiccia campagna informativa che ha deformato la nostra storia e calpestato la nostra identità. Capita che le famiglie ucraine abbiano parenti in Russia. E loro ci riferiscono di ciò che è avvenuto. Non stupisce che di fronte a un martellamento ideologico così energico sia montata la rabbia verso il nostro Paese.
Il vescovo di Kiev durante una celebrazione - Dal profilo Facebook
Il patriarca di Mosca, Kirill, sostiene l’attacco. Un appoggio “sacro”?
Non solo le comunità cristiane in Ucraina ma anche tutte le realtà religiose hanno condannato le dichiarazioni di Kirill. La guerra non è mai giusta. E qualsiasi leader religioso favorevole all’aggressione di un Paese dovrebbe farsi un serio esame di coscienza.
In Ucraina alcune comunità ortodosse legate al patriarcato di Mosca si sono “staccate” nelle ultime settimane. Come leggere questa scelta?
Il quadro dell’ortodossia in Ucraina è complesso. Ci sono studiosi per i quali, con la nascita della nuova Chiesa autocefala, la Pzu, non si sia verificata un’autentica separazione. Di fatto sono due le Chiese presenti: la Pzu e poi l’Upz legata al patriarcato di Mosca. Come cattolici, non entriamo in queste contese. Constatiamo però che le differenze non permettono una riunificazione. Vedrà la luce una terza denominazione ortodossa che potrà riunire le due Chiese divise? Impossibile dirlo. Ma possiamo affermare che questa situazione compromette in modo significativo il cammino ecumenico.
Il vescovo di Kiev porta gli aiuti umanitari - Dal profilo Facebook
E la Chiesa cattolica come abbraccia la gente durante la guerra?
Siamo chiamati a leggere i segni dei tempi. E oggi essi ci mostrano un popolo in cui si impone il concetto del nemico. Da cattolici siamo tenuti a costruire ponti. Anzitutto, fra le famiglie divise. Divise perché c’è chi ha parenti in Russia e il conflitto li ha separati. Divise perché c’è chi ha visto i padri o i figli partire per il fronte mentre le mogli e i ragazzi piccoli sono rimasti a casa. Divise perché c’è chi è fuggito all’estero. Altro nostro ambito d’azione è quello caritativo. Siamo accanto a chi non ce la fa, distribuendo generi di prima necessità a tutti coloro che sono provati, senza distinzione di passaporto o fede.
Si combatte anche la “guerra del grano” che non può essere esportato per il blocco dei porti.
Si tratta di una crisi alimentare che avrà effetti su numerosi Paesi e che dimostra come la guerra in corso non riguardi solo l’Ucraina. Non so se questa paralisi del grano sia stata pianificata da Putin. Se non l’ha voluta, non è capace di vedere oltre il suo naso. Se l’ha progettata deliberatamente, è una vicenda che aggrava le sue responsabilità.