Papa Francesco ha nominato monsignor Giuseppe Shen Bin vescovo di Shanghai. Finalmente, dopo più di dieci anni, questa grande diocesi – la più importante di tutta la Cina - ha un vescovo che se ne prende cura. Con un ruolo già molto rilevante prima del 1949, la Chiesa di Shanghai ha vissuto un lungo periodo di difficoltà come tutto il cattolicesimo cinese, finché monsignor Jin Luxian, dopo diciotto anni di prigionia, all’inizio degli anni Ottanta ne è diventato vescovo, per volontà del governo ma senza il riconoscimento di Roma. Jin Luxian ha svolto un lavoro straordinario, creando numerose parrocchie, un Seminario con aspiranti sacerdoti da tutta la Cina, iniziative caritative, associazioni di laici, una casa editrice… Riconosciuto anche dal Papa nel 2005, mons. Jin ha preparato il futuro della diocesi con l’ordinazione nel 2012 di mons. Taddeo Ma Daqin quale vescovo ausiliare. Ma in quegli anni era nuovamente scoppiato un durissimo conflitto tra la Santa Sede e il governo di Pechino, che mandò in fumo un accordo tra le due parti praticamente già raggiunto. Gli sviluppi successivi hanno mostrato come sia stata negativa per la Santa Sede quella ripresa virulenta dello scontro. Nel clima di quegli anni, monsignor Ma Daqin credette di dover prendere pubblicamente le distanze dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, un organismo che ha tormentato le relazioni sino-vaticane fino all’Accordo del 2018 (che il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, ha definito «lungimirante» e che, se fosse stato firmato nel 2009, avrebbe evitato alla Chiesa di Shanghai tante sofferenze). Dal 2012 a monsignor Ma Daqin è stato impedito di esercitare la sua funzione e dopo la morte di Jin Luxian nel 2013 Shanghai è rimasta senza vescovo.
Il trasferimento di monsignor Shen Bin dalla diocesi di Haimen, di cui è stato nominato vescovo nel 2010 da Benedetto XVI con il riconoscimento del governo, ha cambiato radicalmente la situazione e i cattolici di Shanghai apprezzano l’impegno del nuovo vescovo per risollevare la diocesi, risolverne i problemi, realizzare nuove iniziative. Nella grande metropoli cinese, la Chiesa ha ripreso a godere di un rispetto che per dieci anni non ha avuto e ciò potrebbe facilitare la soluzione definitiva della situazione di monsignor Ma Daqin, che già ora tiene numerosi corsi nel Seminario shanghaiese. Si aspettava però di conoscere il pensiero della Santa Sede, non perché contraria alla persona – «pastore stimato» lo ha definito il cardinale Parolin – ma perché del trasferimento è stata informata senza però essere coinvolta. Ieri la Sala Stampa vaticana ha informato che Francesco ha deciso di nominare monsignor Shen Bin vescovo di Shanghai: sono evidenti gli intenti ecclesiali e pastorali di questa scelta. Per la Chiesa di Shanghai è un giorno di festa.
Ancora non si è capito perché questo trasferimento sia stato attuato in modalità unilaterale visto che si poteva farlo consensualmente. Di certo negli ultimi anni, soprattutto dopo il Covid, le distanze tra la Cina e il resto del mondo sono aumentate. La Santa Sede però non si è arresa davanti a difficoltà indubbiamente vere ma che non sembrano scaturire da una volontà di rottura e continua a cercare la chiarezza attraverso il dialogo. È un cammino in qualche modo “obbligato” e che può essere «fecondo», ha dichiarato il cardinale Parolin, nell’importante intervista rilasciata ieri ai media vaticani, indicando tre nodi da affrontare insieme: la Conferenza episcopale, la comunicazione dei vescovi cinesi con il Papa e l’evangelizzazione. Riguardo al primo, c’è già un Collegio dei vescovi cattolici cinesi non riconosciuto dalla Santa Sede, ma con i cui membri questa intrattiene rapporti nella speranza di « veder crescere la responsabilità dei vescovi nella guida della Chiesa in Cina». L’obiettivo è di giungere «quanto prima» a una vera e propria Conferenza episcopale con «statuti adeguati». Intanto, va in questa direzione la novità che il comunicato vaticano scriva espressamente di monsignor Shen Bin che è anche presidente «dell’organismo denominato Collegio dei vescovi cattolici cinesi».
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