Assisi, Basilica Superiore di San Francesco: il presepe di Greccio in un affresco attribuito a Giotto - foto Siciliani
«Francesco d’Assisi è uomo libero perché liberato». Ed è maestro e testimone «di una verità che è libertà». Come «il Baal Shèm Tov, il fondatore del movimento chassidico». E come tutte le donne e gli uomini liberi «che hanno attraversato la storia mettendosi in ascolto dello Spirito». Francesco, nella cui esperienza spirituale e religiosa vi sono sorprendenti e illuminanti assonanze e punti di contatto con l’ebraismo, è dunque un compagno di cammino prezioso per vivere un Giubileo di liberazione. Ed è una luce feconda per dissipare le ombre di questo tempo drammatico e rigenerare il dialogo e l’amicizia fra ebrei e cristiani. Ne è convinto Simone Castaldi, frate minore, 52 anni, commissario di Terra Santa per Roma e il Lazio, studioso di ebraismo e impegnato in prima persona nel dialogo. Come fa guidando pellegrinaggi nei Luoghi santi. Come fa col suo canale YouTube La barba di Aronne, nel quale aiuta i cristiani «a conoscere gli ebrei, a riconoscere le nostre radici, a vedere il nostro vero volto». E come fa col volume Sotto lo stesso Cielo. Tracce di ebraismo in Francesco d’Assisi, edito da Terra Santa con la prefazione della storica Anna Foa.
Quali sono queste tracce e punti di contatto? Anzitutto: l’amore e il rispetto di Francesco per la Scrittura, spiega fra Castaldi, che richiamano la venerazione per il Nome Santo e per ogni scritto propria dell’ebraismo. Poi: la scelta da parte di Francesco di una lettera dell’alfabeto ebraico come suo “sigillo”, la lettera Tav che è «segno di redenzione e completezza per gli ebrei»; l’augurio di pace che Francesco dice ispirato da Dio, e che richiama «l’idea di plenitudine, l’augurio di integrità che soggiace allo Shalom ebraico»; la preghiera di Numeri 6, quella con cui «ieri come oggi, i padri ebrei benedicono i figli nei diversi momenti della giornata», e che Francesco fa sua «quale benedizione preferita e donata». E poi: il rispetto e la riverenza per il fuoco. E l’idea che l’Assisiate ha dell’elemosina, «incredibilmente identica all’idea della tzedaqà ebraica», che è rivendicazione di giustizia più che richiesta di carità.
Fra Castaldi arriva a individuare «forti parallelismi» fra la figura di Francesco e quella del Baal Shèm Tov, il fondatore del chassidismo. Due spiritualità e due movimenti lontani nel tempo e nello spazio: eppure, raffrontando i testi, quali consonanze su temi come la “spossessione”, la povertà come liberazione dall’illusione di possesso, la preghiera come dialogo intimo con Dio, l’abolizione della “categoria inimicale”... Tutte queste assonanze si innestano in un «panorama spirituale più ampio, tracciato da due idee centrali dell’ebraismo»: quella di emunah , la fede intesa come fiducia in un Dio che si prende cura delle sue creature, e quella di berakah, la benedizione. Due orizzonti che guidano Francesco – nel quale la benedizione è forma di linguaggio che diventa forma di vita.
Come si spiegano queste assonanze? Non ha riscontro storico l’ipotesi, formulata da alcuni, che quella di Francesco fosse una famiglia di ebrei convertiti. Più fondata l’ipotesi di una conoscenza diretta degli ebrei e dell’ebraismo, alla luce della presenza, storicamente attestata, di comunità ebraiche ad Assisi e in Umbria. Vi è però, suggerisce fra Castaldi, una terza ipotesi: «Lo Spirito di Dio, che soffia in ogni cuore e in ogni epoca, è capace di guidare l’uomo che sa ascoltarlo su grandi direttrici spirituali, che accomunano pensieri e atteggiamenti anche lontani nello spazio e nel tempo».
Francesco è stato uomo libero aperto all’azione dello Spirito. «Capace di guardare senza pregiudizi all’umile e al diverso, al musulmano come all’ebreo», scrive Anna Foa nella prefazione. «Capace di vedere ogni creatura – e l’uomo che sta al vertice della creazione – come buona, perché creata da Dio – spiega fra Castaldi ad Avvenire –. E capace di mostrare il volto di un Dio che ha scelto di stare nel mondo occupando l’ultimo posto, come fa allestendo il presepe di Greccio. Un Dio che ci chiama ad abitare la storia allo stesso modo: scegliendo l’ultimo posto. Ecco la rivoluzione di Francesco. Ecco il suo messaggio di pace, che alla prepotenza del potere oppone la gentilezza dell’Incarnazione. Con Francesco riscopriamo come alle radici del cristianesimo c’è l’ebraismo. E come nel dialogo con l’ebraismo è in gioco l’identità e la missione della Chiesa. Un dialogo che ha bisogno di uomini liberi e liberati come Francesco. Maestri e testimoni di una verità che libera. E rende fratelli».