Il cardinale Attilio Nicora (Siciliani)
Non solo un grande giurista. Non solo una persona capace di diplomazia e dialogo. Non solo l’architetto del sistema di sostegno economico alla Chiesa di derivazione concordataria. Ma anche e soprattutto un vescovo, dunque un uomo di Chiesa a tutto tondo, profondamente radicato nell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, che seppe trasporre anche in una materia difficile e delicata come quella della gestione beni ecclesiastici e della remunerazione dei sacerdoti.
È questa la figura del cardinale Attilio Nicora (Varese, 16 marzo 1937 – Roma, 22 aprile 2017), così come è emersa dal convegno celebrato ieri al Palazzo della Cancelleria, su iniziative delle università Lumsa e Roma Tre. Un ritratto a più voci, a cominciare da quella segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, che ha sottolineato: «Anche oggi abbiamo bisogno della sua fede (era un uomo di grande fede), del suo profondo sensus Ecclesiae, che si esprimeva anche della capacità di mettersi da parte, della sua capacità di coniugare la conoscenza delle discipline ecclesiastiche con la sensibilità pastorale, della sua rettitudine, del suo rigore e della sua meticolosità e del suo stile dialogante». Molti i profili della personalità messi in evidenza nel corso degli interventi. L’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, che con Nicora ebbe modo di collaborare durante i suoi anni alla Cei, ha ricordato: «Coniugava la fattualità del diritto con la spiritualità del Vangelo, dal quale attingeva le motivazioni di fondo ». Questo è particolarmente evidente nella nuova disciplina del sostentamento del clero, ispirata al principio della perequazione e della comunione, nella riforma del sostegno economico alla Chiesa che superava gli automatismi del vecchio sistema beneficiale, per introdurre l’8xmille e le offerte deducibili, e in tutta la sua azione giuridica. «La Chiesa in Italia – ha detto Betori – ne è uscita trasformata anche in quanto a trasparenza, solidarietà, valorizzazione del ruolo dei laici».
E questo grazie al lavoro meticoloso, spesso compiuto dietro le quinte del porporato, che lavorò alla Cei dal 1984 al 1992 e dal 1997 al 2002, quando venne nominato da Giovanni Paolo II presidente dell’Apsa, passando così al servizio della Santa Sede. L’arcivescovo di Firenze ne ha perciò descritto il multiforme contributo anche in altri campi: come presidente della Caritas, come esperto nelle questioni riguardanti l’insegnamento della religione a scuola, nella 'battaglia' per il Crocifisso nei luoghi pubblici, nel 'ridisegno' della Cei e anche come delegato dei vescovi italiani presso la Comece. Il suo capolavoro è stata la tessitura di un diverso e più moderno sistema di relazioni Stato-Chiesa. Il giurista Carlo Cardia, membro della commissione paritetica che ha attuato l’Accordo di revisione del Concordato, ha notato: «È stato un riformatore cui tutti dobbiamo qualcosa. Anche grazie a lui abbiamo superato veri e propri tabù di matrice ottocentesca». E il cardinale Parolin ha aggiunto: «Nella sua personalità di concentrava un’amalgama di competenza, conoscenza giuridica, capacità umana e relazionale. Così, seguendo la linea sicura tracciata prima di lui da Achille Silvestrini e Agostino Casaroli nell’elaborazione dell’Accordo, il cardinale Nicora ha affrontato e risolto con spirito di innovazione gli snodi essenziali della nuova amministrazione ecclesiastica. E la commissione da lui presieduta ha saputo unire la tradizione laica della storia italiana, con la visione costituzionale che nel secondo dopoguerra ha inserito l’Italia nel novero delle nazioni che costruirono una nuova Europa». Perciò egli è «una delle figure più eminenti della cultura europea che vedeva nelle relazioni ecclesiastiche ancorate ai principi di laicità e di collaborazione, uno dei capisaldi della nuova storia del continente». In effetti la laicità è un’altra delle caratteristiche del bagaglio umano e spirituale di Nicora messe in evidenza ieri. «La vera laicità non teme di confrontarsi con la santità, della quale egli ci ha lasciato il profumo», ha affermato Cardia, citando l’invito del cardinale a voler bene allo Stato fondato sulla Costituzione. E il rettore della Lumsa, Francesco Bonini ha ricordato come proprio Nicora (che di questa Università fu per quasi dieci anni il presidente del Consiglio di amministrazione), amava autoironicamente definirsi «laico, smagato e longobardo». Tutto questo affondava infatti le radici, ha messo in evidenza l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, nel suo essere prete ambrosiano cresciuto alla scuola di Paolo VI e di Giuseppe Lazzati. «Da vescovo ha rivalutato parole screditate come potere e governo, cioè capacità di prendere decisioni, e anche solitudine, specie quando quelle decisioni possono risultare antipatiche ». Nicora in effetti, specie nei primi tempi della riforma, subì anche le contestazioni di chi - all’interno della Chiesa - guardava con diffidenza quei cambiamenti ». Le vicende successive gli hanno dato ragione e, come ha detto Parolin nelle sue conclusioni, l’eredità che ci ha lasciato comprende anche il «rapporto Stato-Chiesa visto come sana cooperatio, cioè non come scambio di concessioni e privilegi, ma impegno convergente e costruttivo per la promozione dell’uomo e della stessa comunità politica e nell’ottica del bene comune».