mercoledì 14 ottobre 2015
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Dal Vaticano II a oggi l’attenzione della Chiesa italiana nei confronti delle situazioni familiari difficili o irregolari ha seguito una linea di attenzione costante e puntuale, con una serie di interventi finalizzati ad accompagnare le situazioni di maggior sofferenza. Una sensibilità pastorale che riflette un’espressione della preghiera eucaristica. «Ad un certo punto il sacerdote prega a nome di tutta la comunità dicendo: “Ricongiungi a Te, Padre misericordioso tutti i tuoi figli ovunque dispersi”. Questa espressione riassume il sentire della Chiesa. È l’appello accorato che la comunità dei credenti rivolge a Dio padre perché tutti possano, ognuno nella sua condizione e nella condizione in cui si trova, andare verso la casa del Padre». L’ha spiegato il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, intervenendo a Milano ad un convegno sull’emergenza separazione (ne abbiamo riferito su Avvenire di ieri). L’occasione è servita al vescovo – a lungo docente di teologia del matrimonio e della famiglia all’Istituto “Giovanni Paolo II” presso l’Università Lateranense – per tracciare un percorso dell’impegno ecclesiale italiano nei confronti delle famiglie ferite. E si tratta di una sensibilità che parte già negli anni successivi alla conclusione del Concilio. «L’episcopato italiano interveniva nel 1969 con il documento pastorale Matrimonio e famiglia oggi in Italia – ha proseguito il vescovo-teologo – suggerendo sia di “usare rispetto e comprensione, soprattutto là dove è evidente la presenza di un sincero amore umano e dove si manifesta il rammarico di non potersi avvicinare ai sacramenti”, ma anche “fin dove è possibile, di consigliarli e di aiutarli a regolare la loro situazione”». Altra annotazione interessante in un documento successivo, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, pubblicato sei anni dopo, nel 1975. In questo testo si registra già un significativo passo avanti, affermando che “l’aiuto non potrà restringersi ad un atteggiamento di umana comprensione e di evangelica accoglienza, ma dovrà adoperarsi per modificare le situazioni sociali carenti in una visione di giustizia e di carità”. Siamo nel pieno della risoluzione culturale che sta abbattendo certezze e convinzioni. Anche la famiglia comincia a sentire i contraccolpi di una bufera che finirà per polverizzare molte certezze e per spegnere, anche nelle delicate dinamiche delle relazioni, molte speranze. «In termini più chiari ed esaustivi – ha fatto notare ancora monsignor Giuliodori – l’atteggiamento della Chiesa italiana verrà illustrato in una nota Cei, pubblicata il 26 aprile 1979». Il titolo, finalmente esplicito: “La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari e difficili”. Tra le altre sottolineature, parole che parlano chiaramente di apertura nella misericordia: “La Chiesa non può discostarsi dall’atteggiamento di Cristo: per questo la chiarezza e l’intransigenza nei principi e insieme la comprensione e la misericordia verso la debolezza umana in vista del pentimento, sono le due note inscindibili che contraddistinguono l’opera pastorale della Chiesa”. Siamo, come detto, nel 1979, due anni prima dell’esortazione postsinodale Familiaris consortio di Giovanni Paolo II che, riprendendo in modo non casuale le parole del documento italiano, spiega: “È la stessa ed unica Chiesa ad essere insieme Maestra e Madre. Per questo la Chiesa non cessa mai di invitare e di incoraggiare, perché le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità”. Il testo di papa Wojtyla, che rappresenta la vera e propria magna charta della pastorale familiare in generale e, in particolare, del nuovo atteggiamento della Chiesa nei confronti delle coppie ferite, è la base per un nuovo, fondamentale documento dei vescovi italiani, quel Direttorio di pastorale familiare (1993) che segna un nuovo passo avanti verso la comprensione e l’accoglienza dei separati e dei divorziati con proposte e azioni pastorali ben delineate. Altra tappa significativa il primo convegno organizzato sul tema dalla Cei, “Matrimoni in difficoltà: quale accoglienza e cura pastorale”. È il 1999 e l’emergenza separazione con i suoi numeri in rapida crescita, impone di tradurre le indicazioni magisteriali in prassi pastorale concreta. Dopo quel convegno partono i primi gruppi di preghiera dedicati in modo specifico ai separati e ai divorziati risposati. Il passo più recente è del 2011, con la Settimana estiva di formazione intitolata “Luci di speranza per le famiglie ferite”. In quell’occasione il direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia, don Claudio Gentili, parla esplicitamente di un itinerario per le persone che vivono il dramma della separazione: accogliere, discernere, accompagnare, educare. Insomma, quattro punti del Sinodo della misericordia che stiamo vivendo in questi giorni.
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